32. Motivi

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«Vattene via da qui. Ci sono io, adesso» mi intima senza guardarmi in faccia.

Sono stato zitto abbastanza, questa volta non me ne starò con le mani in mano a subire i suoi strani e insulsi attacchi di rabbia.

«Si può sapere che problemi hai, Andrews?» sbotto con tono di voce alto.

Lui si volta a guardarmi come se non si aspettasse un mio contrattacco.

«Mi sono stufato di te che mi attacchi senza un motivo. Volevi ritornare a come eravamo prima? Lo possiamo fare, se vuoi! Ma non accetto che tu mi spinga ogni volta che mi vedi o fai altri scherzetti del cazzo come un moccioso di otto anni, okay?»

«Sei stato tu a volerlo.»

«Cos'è, una giustificazione, questa?» rispondo incrociando le braccia e avanzando verso di lui nella stanza. «Dovrei essere io quello incazzato con te, brutto idiota.»

«Me lo hai detto tu che sono solo uno che pensa solo alle sue vendette, mi hai detto di starti lontano. È quello che sto facendo.»

«Vorresti dire che non è vero, Jace? Ti ricordo che Jim mi ha pestato per colpa tua!»

«Ti ho già detto che mi dispiace. Adesso che tutto è a posto tra di noi, lasciami in pace.»

«No che non è tutto a posto» dico avvicinandomi ancora di più. Lo tengo in pugno, l'ho chiuso in un angolo. «Devi smetterla con questo atteggiamento da bullo, okay? Non eri tu che dicevi di ritenermi un amico? Tratti così i tuoi amici?»

«L'hai detto tu che non siamo mai stati amici.»

«Stronzate, Jace, ero arrabbiato! Avrei detto qualsiasi cosa per restituirti il dolore che mi avevi dato.»

«Cosa ti fa pensare che non essere amico tuo mi avrebbe fatto soffrire?» ghigna malevolo.

Rimango un attimo confuso per le parole che gli ho rivolto.

«Ma smettila» ribatto con un ghigno sul viso a mia volta. «Quasi piangevi per farti perdonare e per essere mio amico» sussurro tra i denti.

A questo punto il suo sguardo si incendia, le sue sopracciglia si aggrottano in un'espressione truce. I suoi pugni afferrano il colletto del mio maglione e, come è successo già altre volte, mi trascina fino a che la mia schiena urta con violenza una delle assi di legno della libreria, facendo tremare e cadere qualche libro.

Evito di mostrare una smorfia di dolore, in quel modo gliela darei solo vinta.

«Vaffanculo, Alec. Non ti ho mai supplicato per questo e mai lo farei. Sei solo un moccioso rompipalle.»

Decido di reagire. Afferro anche io il suo maglione e lo richiudo in quell'angolo tra l'altra libreria e la parete libera.

Mi avvicino al suo orecchio con la bocca, sento il mio respiro caldo scontrarsi con la sua pelle del collo. Vedo essa vibrare.

«Tu mi hai stufato» sussurro nel suo orecchio. «Sei solo un ragazzino viziato che vuole nascondersi dietro la prepotenza di fare il bullo. E ammettilo che quando ti ho detto che non saremmo stati amici quasi ti mettevi a piangere. Non negarlo, ti ho sentito urlare.»

Mi allontano, restando però abbastanza vicino per fargli vedere quanto è arrabbiata la mia espressione.

«Urlavo perché in quel momento avrei voluto ucciderti con le mie stesse mani.»

È adesso che di nuovo lui mi afferra e mi trascina. Quasi inciampo sui miei stessi piedi perché ci sta portando in mezzo a due scaffali colmi di libri, in un angolino nascosto e semi-buio.

Ama e fa' ciò che vuoiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora