52. Feste

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Negli ultimi due giorni prima delle vacanze di Natale, prima di poter finalmente prendere un attimo di respiro dalla scuola, io e Jace - come stabilito - aumentiamo le distanze tra di noi.

Se prima ci ritagliavamo qualche momento per stare insieme nei nascondigli lontani dagli sguardi degli altri, abbiamo passato questi giorni a evitarci completamente.

Ogni volta che ci incrociavamo nei corridoi, i nostri sguardi non osavano nemmeno cercarsi.

Per fortuna oggi riesco a stare un po' insieme a lui, anche se non nel modo in cui vorrei. Quando mi dirigo verso gli spogliatoi per cambiarmi in vista degli allenamenti di basket, vedo anche Jace avvicinarsi e da lontano Nate ha gli occhi puntati su di me. Dei brividi di freddo e di paura mi attraversano la spina dorsale, poi saluto con un cenno Jace e vado a mettermi la divisa.

* * *

Il coach soffia forte nel suo fischietto, declamando la fine della partita di allenamento. «Andate tutti a farvi una doccia che puzzate peggio di una discarica!» urla per tutta la palestra.

Stremato, mi siedo per qualche minuto su una delle panche per riprendere fiato, mentre il coach e tutta la squadra se ne va pian piano.

Jace rimane, solo per mettere a posto gli attrezzi sparsi in giro, su ordine del coach.

Mi asciugo il sudore dalla faccia con il mio asciugamano, e all'improvviso me lo vedo spuntare davanti.

«Che ne dici se ci sfidiamo in una partita?» chiede in un sorrisetto. «Eh, Black?»

Il mio sguardo si fa un po' perplesso: «A basket? Perché mai? Sono distrutto.»

«Cos'è, hai paura di perdere, Black?» ghigna arrogante.

«Contro di te? Mai» rispondo alzando un sopracciglio, stando al gioco.

* * *

Corro con tutta la forza che mi è rimasta in corpo, dopo essere finalmente riuscito a rubargli la palla di mano. Erano minuti interi che ci esibivamo in quella strana danza mentre cercavano di avere entrambi la supremazia sul pallone, alla fine con un gesto fulmineo e un abile movimento di polso sono riuscito a prenderla e a correre verso il canestro avversario.

Gli unici suoni che si sentono in palestra sono lo stridere delle suole delle scarpe sul campo rivestito in legno, i nostri respiri esausti e Jace che mi urla contro qualche insulto per avergli rubato la palla.

Sorrido mentre gli do le spalle, poi con uno scatto la lancio e finalmente, scaduto l'ultimo secondo, decreto la fine della partita.

«Ho vinto!» esclamo a pieni polmoni e alzo le braccia in aria. «Ce l'ho fatta!»

Jace mi manda tantissime occhiatacce, perché fino alla fine diceva che avrebbe di sicuro vinto lui. Tuttavia la vittoria è andata a me e, nell'euforia di aver battuto l'ex capitano della squadra, corro veloce verso di lui e gli cingo le cosce con le mie braccia, per poi sollevarlo in aria in un gesto di vittoria.

«Che fai, Alexander?! Mettimi giù! Perché esulti con l'avversario?» Subito le sue mani, fulminee, si aggrappano con tutta la loro forza alle mie spalle per mantenere l'equilibrio e non cadere. La mia faccia, nel frattempo, sprofonda nel bel mezzo del suo addome. «Alec, lasciami!» lo sento poi scoppiare a ridere anche lui.

Questa scena così surreale ci sta facendo ridere come due matti, mentre io lo abbraccio e lo tengo ancora in aria, esultando come se avessi vinto il campionato.

La felicità e l'intimità del momento vengono, però, spezzate dal rumore della porta della palestra che si apre con uno stridio, e rimaniamo bloccati al nostro posto, come delle statue.

Ama e fa' ciò che vuoiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora