29. Hotel

6.9K 378 158
                                    

Mi sveglio di colpo dopo aver sognato della mia testa che, nel sonno, inconsapevole finiva per poggiarsi sulla spalla del compagno seduto accanto a me.

Per fortuna era solo un incubo, perché realizzando e ricordando dove sono e dove sto andando, sono rimasto perfettamente fermo al mio posto.

Anche Jace adesso dorme, ma qualche secondo dopo sobbalza sul posto come se avesse avuto un incubo anche lui.

Distolgo lo sguardo dal suo viso quando comincia a strofinarsi gli occhi con le dita, fingendomi indaffarato in qualche attività super impegnativa, che alla fine consiste solo nello staccare la musica che, imperterrita, continuava a suonare, e liberarmi finalmente delle cuffie.

Poi, per tutto l'aereo, rimbomba squillante la voce del pilota che ci informa che stiamo per atterrare.

Lo sguardo mi cade automaticamente fuori dal finestrino, dove nubi compatte lasciano alcuni spazi sgombri per poter ammirare il territorio dell'Islanda dall'alto.

Sfortunatamente mi sono destato dal mio sonno troppo tardi, altrimenti avrei potuto vedere questo Stato più ampiamente, mentre adesso voliamo già su Reykjavik.

Immediatamente, desideroso di non lasciarmi sfuggire questa porzione di cielo privo di annuvolamenti, quasi mi lancio verso il sedile di Jace per cominciare a scattare decine di foto.

«Che cosa stai facendo?» parla lui con tono sconvolto e infastidito.

Ormai quasi non ci faccio più caso alla sua perenne ostilità nei miei confronti.

«Concedimelo, Andrews, c'è un panorama spettacolare.»

Lui sbuffa, ma non dice più niente e non si lamenta del mio braccio poggiato sul suo per non cadere, e della minima distanza che ci separa.

Soddisfatti dei miei scatti, la ragazza seduta accanto a me, una del terzo anno, mi chiede timidamente se posso fare qualche foto per lei.

Ho giusto il tempo di farne qualcuna prima che l'hostess ci ordini di allacciare le cinture e, quindi, di rimanere ai nostri posti, chiudere i piccoli tavolini davanti a noi e altre cose del genere.

L'atterraggio si rivela infinito, interminabile, e io mi ritrovo spiaccicato contro il sedile mentre con la coda dell'occhio continuo a guardare fuori.

* * *

Arriviamo al nostro hotel, uno a quattro stelle posizionato vicino la costa ma, allo stesso tempo, abbastanza vicino al centro di Reykjavik.

È un colosso di edificio, sembra molto bello solo a vederne la facciata.

Il professor Scott, accompagnatore ufficiale delle classi dell'ultimo anno, ci invita ad affrettarci a scendere dall'autobus che ci accompagnerà tutti i giorni per il resto della gita, e ci dice di fare attenzione ad attraversare la strada.

Non appena entriamo, la hall si rivela accogliente e maestosa, soddisfacendo le mie aspettative.

Il receptionist ci guarda con un sorriso cordiale da dietro il bancone, salutandoci e parlandoci nell'incomprensibile lingua islandese.

I professori, allora, si affrettano a chiarire il fatto che siamo stranieri e subito cominciano a discutere delle camere da assegnare.

Dopo che parlano per qualche minuto, il prof Scott si volta verso di noi e ci annuncia che le camere saranno triple e ci ordina di disporci in gruppi da tre e di dividerci in base al sesso.

Sarah mi guarda.

«Lo sapevamo che non saremmo potuti stare in camera insieme» le dico.

«Ufficialmente» precisa lei con un sorrisetto. «Ufficiosamente possiamo fare tutto quello che ci pare» conclude, poi strizza l'occhio in un occhiolino.

Ama e fa' ciò che vuoiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora