11. Fastidio

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«Allora verrai sicuramente alla gita? Hai chiesto ai tuoi genitori?»

Sono con Paul, Sarah e Shawn, la mia nuova compagnia di amici, seduto a una delle panchine del cortile retrostante la scuola. È l'ora della pausa pranzo e mi sto rilassando chiacchierando con loro e fumando una delle mie sigarette. Mi dico sempre che dovrei smettere ma non lo faccio mai.

Non so perché fumo, immagino perché mi rilassa. Ho provato a fumare una sigaretta quando avevo quindici anni. Vedevo tutti i miei amici cominciare a farlo, pensavo che fosse una cosa piacevole nonostante sapessi che faccia male.

Era stato una sera, mentre eravamo parcheggiati con i motorini davanti allo stadio ormai chiuso. Le luci che illuminavano il parcheggio rischiaravano a malapena i nostri volti, nascosti in un angolino al buio. Avevamo ancora quindici anni, d'altra parte, stavamo facendo qualcosa di illegale.

Mentre chiacchieravamo, Jim si era acceso una sigaretta, e io - curioso - quella sera decisi di chiedergli un tiro.

Mi sembravo stupido anche a chiedergli come si facesse, lui non sapeva come spiegarlo, diceva solo di serrare i denti e ispirare. Non capivo che voleva dire, ci ho messo il tempo di una sigaretta a fare un tiro giusto.

Non mi era esattamente piaciuto, ma l'odore che permeava sulle due dita con cui l'avevo tenuta anche dopo essere tornato a casa mi faceva sentire grande.

Così occasionalmente alle feste ne scroccavo una ai miei amici, prima solo qualche tiro, poi sigarette intere. E ho finito per prendere il vizio.

Non sono proprio accanito, fumo solo quando mi sento stressato o annoiato. Un pacchetto mi dura un'eternità, perciò posso dire di non esserne completamente dipendente.

Spengo la sigaretta ormai consumata nell'apposito cestino accanto alla panchina. Butto fuori l'ultima folata di fumo. «Sì, vengo alla gita, è ufficiale» rispondo a Paul che da un po' era in attesa della mia risposta.

Lui sorride contento e fa per abbracciarmi, ma non voglio che lo faccia. Siamo amici, okay, ma non amici così stretti da scambiarsi un abbraccio. E poi mi sembra immotivato e fuori luogo. Non voglio far rinascere quelle dicerie che si sono calmate.

È passato un altro mese da quando la foto è stata rimessa in circolazione. Continua a girare, ma dopo un'estate e i primi mesi di scuola la gente forse si è stancata di parlare sempre delle stesse cose. Vorrebbe solo un nuovo scoop da far girare, e io non voglio di certo offrirgliene uno.

So che così mi comporto da stronzo con Paul, che vuole essere solo simpatico, solo per motivi egoistici, ma è così che una persona si deve comportare affinché gli altri non si facciano i cazzi suoi: comportarsi da stronzo.

Mi alzo per scansare l'abbraccio di Paul, rendendo così nota la mia intenzione di allontanarlo. Allora faccio finta di non essermene accorto e invento una giustificazione per la mia azione: «Vado a prendere una bottiglietta d'acqua al distributore. Quella sigaretta mi ha lasciato la bocca asciutta.»

Gli altri, facendo finta anche loro di non aver visto quello che Paul aveva intenzione di fare per non metterlo in imbarazzo, annuiscono indifferenti, poi continuano a parlare tra loro.

Mi allontano e vado verso il distributore. I corridoi sono un po' affollati e c'è persino la fila davanti il macchinario.

Indeciso o no se stare ad aspettare, alla fine mi metto in coda, ma la cosa non dura tanto.

All'improvviso qualcuno mi spinge e, senza darmi nemmeno il tempo di vedere chi sia, ci chiude all'interno di un'aula vuota.

«Jace» lo saluto perplesso. Cosa vuole?

Ama e fa' ciò che vuoiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora