capitolo 13

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Mi svegliai serena è riposata. Senza incubi ne altro. La luce della mattina, entrò dalla finestra, mi ero dimenticata di tirare le tende il giorno prima. Mi misi uno dei due cuscini in faccia ed emisi un suono irritato.

< oh vi siete svegliata vedo>

Mi tolsi il cuscino di scatto, balzando a sedere, mi guardai attorno, e mi resi conto che non era la mia camera. Ma quella del castello. Misi a fuoco, la figura esile che avevo davanti, mi strofinai gli occhi.

< ciao Jacqueline, che ore sono?>

Dissi con voce assonata, sbadigliando.

< oh.... le 11,30 signorina>

Disse con voce squillante. Sempre sorridendo.

Mi misi a sedere, e toccai il pavimenti freddo, un brivido mi percorse tutta la schiena. Alzai lo sguardo e la osservai. Ero stranita, e non avevo parole .Era un giorno di scuola, e io me lo ero persa. Si aggiustò il grembiule e parlò nuovamente.

< vuole la colazione...o preferisce aspettare il pranzo?>

Mi chiese sempre sorridendo. Piegai la testa di lato, un po' confusa.

< a che ora sarebbe?>

< a mezzogiorno e mezzo signorina.... il principe vorrebbe che pranzaste con lui, nello stesso posto in cui ieri avete cenato>

Piegai la testa da l'altro lato, alzai un sopracciglio. Sbuffai

< ma perché vuole allontanarsi così tanto da loro? ....dille che va bene, aspetterò il pranzo ormai.... mi preparo e vado>

Lei annuì titubante e uscì dalla stanza.

Mi preparai con la massima calma. Una volta pronta, vestita, e pettinata, Percorsi l'intero corridoio, poi scesi le scale. Sapevo che la sala da pranzo era nella porta a sinistra , rispetto all'ingresso. Ma Julian preferiva mangiare nella prima stanza a sinistra, entrando nel corridoio al centro delle scale. E infatti lo trovai li. Intento a leggere qualcosa di scuola. Mi sedetti di fronte a lui. La stanza era molto piccola, e molto modesta. Doveva essere la sala da pranzo della servitù. Intorno i mobili erano bianchi. il tavolo al centro, era legno bianco molto semplice e lucente. Le sedie, Erano semplicissime sedie di legna, senza imbottitura nella spalliera. Tutto sul tono del bianco. Lo osservai incuriosita. Era molto concentrato. Sembrava non essersi neanche accorto di me. Piegai la testa di lato e mi schiarì la voce. Lui corrugò la fronte, poi scosse la testa, infine alzò lo sguardo e mi vide. Mi sorrise.

< Buongiorno dormigliona>

Alzai un sopracciglio e feci una smorfia. Poi mi appoggiai la guancia nella mano, e il gomito sul tavolo.

< buongiorno>

< ti sei persa un altra escursione a cavallo , sono entrata nella tua stanza per proportelo, ma Jacqueline mi a cacciato. Mi ha detto che stavi dormendo beata. Perciò non ho potuto svegliarti>

lo disse in tono deluso e scuotendo la testa. lo fissai male poi sospirai.

< devo ringraziare quella ragazza allora>

Mi sorrise. Un sorriso divertito e beffardo. Poi si concentrò di nuovo sui suoi libri, ma arrivò un uomo sulla settantina. Si chiamava Ferdinand , Alto almeno 1,80. Aveva una divisa nera, con alcune parti Beige, come il cravattino, o le svolte delle maniche, e i bottoni. Era un maggiordomo molto cordiale e gentile. Entrò e fece un inchino. Sorridendo a entrambi. I capelli corti e bianchi, gli occhialini color oro, poggiati sul naso. Erano tondi, i classici occhiali degli anziani, tuttavia molto più piccoli.

Le cronache di Atlantide: le originiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora