[Elena's point of view]
Caronte salì sul traghetto con in mano un grande remo in legno scuro. Non indossava più quel completo giallo canarino, che quasi iniziavo a rimpiangere, ma portava una veste nera a brandelli con tanto di cappuccio. Gli occhi incavati avevano lasciato posto a bé...il vuoto, aveva solo due palle interamente bianche.
Non gli feci domande sul perché abbia cambiato outfit, ma dalla sua espressione capii che anche lui preferiva il completo di prima.
Iniziò a remare, come se fossimo in mare, con la testa alta e lo sguardo puntato verso l'orizzonte. Orizzonte di che? Eravamo ancora in quella stupida sala d'aspetto, ma che ti remi?
Mi girai verso Caronte pronta a ridergli in faccia, ma quegli occhi bianchi mi fecero raggelare il sangue nelle vene. Mi rigirai e puntai lo sguardo di fronte a me, come stava facendo lui e improvvisamente la temperatura si alzò ed ebbi la sensazione di starmi sciogliendo. Di fronte a me migliaia di lingue di fuoco danzavano insieme mostrando, ogni tanto, volti colmi di disperazione. Era da far accapponare la pelle.
≪Cosa sono?≫ chiesi indicando degli strani oggetti che ci ruotavano attorno.
Tra questi riconobbi il mio ciondolo allungai la mano per prenderlo, ma Caronte mi fermò per un braccio.
≪Ferma!≫
Mi scrollai da dosso la sua mano e allungo la mia per prendere il MIO ciondolo, che mi spettava di diritto. Dopo averlo preso, lo legai come una cintura e mi sentii più sicura con un arma addosso. Mi girai verso Caronte felice di averlo ritrovato, ma qualcosa mi diceva che non avrei dovuto toccarlo.
≪Come hai fatto?≫ mi chiese senza smettere di remare e guardare avanti a lui.
≪Con le mani Caronte, con le mani≫ dissi sventolandogliele di fronte.
≪Ma grazie allo Stige! Intendo dire, come mai non ti ha fatto male?≫
≪Perché dovrei aver sofferto? Essere all'Inferno non è forse abbastanza?≫ aprii le braccia di fronte a me rivolgendo i palmi verso l'alto.
≪Questi, mia cara≫ disse guardandomi con quelle palline da Ping pong che si ritrovava al posto degli occhi ≪sono gli oggetti delle anime che si trovano nei campi della pena, ai defunti non è permesso toccarli≫
≪Io non sono davvero morta, me lo hai detto tu!≫
≪Ah giusto!≫ Caronte si battè una mano sulla testa abbandonando il remo e facendo barcollare il traghetto ≪Non sono abituato a traghettare dei vivi... l'ultima volta è stata circa due anni fa, con un certo Percy Jackson. Sapessi quanti mostri ho dovuto trasportare nel Tartaro per colpa sua, lo sto attendendo con impazienza sai?≫
Un brivido mi percorse la schiena. Percy era già stato li da vivo. Quale persona con un briciolo di sale nella testa andrebbe negli Inferi di sua spontanea volontà?
≪Bene, torno a prenderti fra un'oretta. Fa attenzione allo Stige!≫
Stavo per ribattere, ma Caronte mi aveva già sbattuta giù dal traghetto e remava al contrario a velocità supersonica, forse anche troppo veloce per uno della sua età. Ho avuto paura di vedergli cadere le braccia da un momento all'altro.
Ormai Caronte non c'era più. C'eravamo solo io e un milione di anime. Ah, la felicità!
Camminavo per l'inferno come camminerei per un viale alberato dove c'è in corso una sparatoria tra mafiosi.
Ogni tre passi mi giravo per accertarmi che non ci fosse nessuno che mi segua.
Nonostante non ci fosse neanche uno spirito-stalker avevo sempre la sensazione di essere seguita così decisi di sedermi accanto a delle rocce sulfuree. Puzzavano come un topo morto, ma lasciamo stare...
Mi guardai attorno e vidi alcune coppie di spiriti che avevano le braccia legate le une a quelle dell'altro da un sottile filo bianco. Gli spiriti non sembravano accorgersene e continuavano a camminare tranquillamente. Avevano un'aria così spensierata che per un attimo mi dimenticai di essere nell'oltretomba. Ormai stanca di guardare le anime di morti che vagano contente per tutto l'Inferno mi rigirai tra le mani il mio ciondolo. Quanti problemi che mi ha causato. Se non lo avessi preso non sarebbero successe un sacco di cose: 1) non mi sarei impiantata con il libro e 2) non avrei insistito per incontrare lo spirito di una vestale assatanata e 3) non saremmo partiti per nessuna impresa senza né capo né coda e, cosa più importante, 4) non sarei stata tenuta prigioniera da un vecchietto con il completo canarino.
Non so perché lanciai il ciondolo, ma lo feci. Sarà stata la rabbia? Il rimorso? O qualche strano sentimento che si prova solo negli Inferi e che non ho mai potuto sperimentare perché non ci ero mai stata prima? Non lo posso sapere, ma è stato un colpo di fortuna.
Mi alzai lentamente, incuriosita da ciò che era capitato al mio ciondolo e quando gli fui abbastanza vicino lo presi e lo guardai con la bocca aperta, ma così aperta che riuscii a sentire il mento toccare terra.
So cosa vi state chiedendo! Cosa può essere successo al ciondolo per ridurre Elena in questo stato? Eh care le cocche della nonna ora ve lo svelerò.
Nel ciondolo, che credevo fosse sigillato e che non sarei mai riuscita ad aprirlo neppure con la fiamma ossidrica, c'era una foto -a colori, ci tengo a precisare- di una ragazza sulla quindicina d'anni: capelli neri e raccolti in una coda alta, occhi verdi e sorriso sincero. Se non ci fosse stato scritto dietro il nome di mia madre avrei potuto dirvi di averci visto male.
E invece no, era proprio mia madre, che sorrideva per qualcuno. Insieme al suo nome c'era anche un numero: 1.
Che cosa voglia dire non ne avevo la più pallida idea, ma sapevo che mia madre mi doveva delle spiegazioni.
Se mia madre era una comune mortale -senza offesa, mamma- come può esserci una sua foto in un ciondolo magico che si trova al campo mezzosangue? E, cosa più importante, cosa ciufolo vuol dire il numero "1"?
Probabilmente, io e mia madre avremo molto tempo per discutere di ciò, ammesso che Elena si fosse decisa a farmi ritornare da lei; poi, se avesse preferito tenermi rinchiusa li per il resto dei miei giorni per me andava bene, bastava che mi avesse fatto ricevere della cioccolata calda ogni tre giorni.
Un nitrito mi fece sporgere in avanti e, di conseguenza, cadere di petto. Me lo massaggiai mentre mi rialzavo guardando con gli occhi fuori dalle orbite il cavallo che avevo di fronte.
Era nero e ossuto, sembrava quasi fatto di nebbia, come uno spirito, solo che avrei potuto cavalcarlo senza passarci attraverso. Lo guardai inclinando la testa a destra e dopo poco mi imitò, io la inclinai a sinistra e lui seguì il mio movimento, mi scappò un sorriso e lui nitrì. Avvicinai piano la mano, ma credetti di averlo fatto in modo brusco perché fece parecchi passi indietro nitrendo nervoso.
≪Buono, sta buono, non voglio farti niente≫ ripetei avvicinandomi a lui lentamente.
Finalmente riuscii ad accarezzargli il muso e lui nitrì compiaciuto. Il fatto che non sia riuscita a capire cosa stesse dicendo mi fece un effetto strano, mi ero ormai abituata a parlare con cavalli ossessionati da ciambelle e zollette di zucchero.
Oregon.
Il mio caro, vecchio pegaso scassascatole. E dire che mi mancava, che avrei voluto stritolarlo tra le mie braccia, che avrei voluto dargli tutte le mie ciambelle al cioccolato per rivederlo, è dire poco.
Un altro nitrito dello spirito mi fece ritornare al presente. Mi asciugai quel paio di lacrime che mi erano scese -è tutta colpa tua, Oregon, tutta colpa tua- e cercai di salire sul cavallo.
Si, avevo intenzione di cavalcarlo.
Poi, non può essere tanto diverso dal cavalcare un pegaso, giusto?
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il segreto
Fanfiction☞[sequel di la profezia]☜ Elena si risveglia nel luogo peggiore che si possa visitare sulla faccia della terra, anzi del sottosuolo, e il suo primo incontro dal suo risveglio le rivela che la sua profezia non riguarda solo lei. Elena dovrà decidere...