Capitolo 15: Il mio amore sbagliato

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Due anni prima, 17/02Città di San Diego

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Due anni prima, 17/02
Città di San Diego

Corro tra i giocatori avversari, scartando e saltando quelli che mi trovo davanti, fino a passare la palla a un mio compagno libero, dietro di me.
Lascio che qualcuno mi placchi e cado a terra di schiena; il fiato mi si spezza nei polmoni, ma i muscoli ringraziano per questo attimo di immobilità, spezzato subito dopo da fischi e urla di gioia e dalla mano tesa che mi porge il mio avversario. Sono molto tentato di rifiutare l'aiuto per rimanere a terra ancora un po', ma la partita non è ancora finita e sono costretto a rialzarmi.
Lascio il campo alla formazione di difesa e mi accascio sulla panchina a bordo campo pieno di dolori; ma perché ho accettato di essere un running back?
Bevo dalla borraccia che mi è stata passata e me ne spruzzo anche sul volto per potermi riprendere dallo stato di spossatezza che mi ha colpito; ma niente sembra volermi dare del conforto.
Sospiro e osservo i miei compagni fare di tutto per impedire agli avversari di segnare un altro punto ed esulto con il resto della formazione d'attacco quando riusciamo a effettuare un Safety.
Siamo in vantaggio!

Batto il cinque alla nostra difesa e mi rimetto il casco per rientrare in campo, ma delle urla mi fanno voltare verso le tribune alle mie spalle: Olly è in piedi e sta gridando il mio nome.
Mi sciolgo in un sorriso e prendo il posto tra i miei compagni, attendendo l'inizio della prima delle quattro azioni che abbiamo a disposizione per il punto. Afferro la palla tra le mani, appena mi viene passata e, senza pensarci un attimo di più, comincio a correre come se la mia vita dipendesse da quello; nascondendo l'ovale tra le mie braccia. So bene che tutto ha origine dalla mia capacità di correre attraverso la difesa avversaria.
Rivedo lo stesso difensore che mi ha atterrato prima, ma questa volta non ci sono compagni a cui passare la palla e neanche avrei voluto farlo; così mi abbasso in scivolata quando lui salta per venirmi addosso e mi rialzo in un battito di ciglia per superare la loro ultima linea difensiva.
Due ragazzi piazzati mi corrono incontro contemporaneamente; sperando che l'essere in due contro uno solo possa aiutarli a fermarmi, ma corro da una parte e dall'altra per saggiare le loro doti atletiche e riesco a penetrare tra di loro, lanciandomi a terra con il pallone. Tocco terra e un fischio mi ferisce i timpani, ma il tifo scatenato di chi è qui a vederci, mi fa capire di aver fatto touchdown.
Mi alzo, con le poche forze che mi sono rimaste, e tolgo il casco; mi volto verso dove intravedo ancora i capelli rossi di Alex e mi levo la maglietta. Rimango con una canotta bianca che riporta una scritta nera: "Olly, is for you". Il mio portafortuna a ogni partita, ma che, per la prima volta, mostro al mondo intero e a mia sorella.
Subito dopo, tutti i miei compagni di squadra mi placcano per festeggiare e ricordo ogni dolore che il mio corpo prova; anche se fingo di dimenticarli perché abbiamo vinto e, dopo una bella doccia calda, riuscirò ad andare a casa e riposarmi.

Gli abbracci mi fanno male, ma il sorriso non riesce a lasciare le mie labbra; neanche quando Olly si palesa di fronte a me con un sorriso che va da un orecchio all'altro e delle lacrime ai bordi degli occhi.
«Sei stato bravissimo, fratellone.»
Mi avvicino e allungo un braccio per asciugarle una lacrima che aveva lasciato il suo porto sicuro e poi l'avvolgo in un abbraccio che lei non ricambia. Mi scosto e la guardo negli occhi, ancora lucidi, ma tutt'ora luminosi.
«Ci sarà tempo per abbracciarci quando starai meglio.» Continuo a osservarla, inclinando la testa di poco verso sinistra, cercando delle risposte che ancora deve darmi.
«Ti ho visto stanco e provato durante la partita e so bene che tutti quei placcaggi ai quali sei soggetto non ti lasciano indifferente; quindi, niente abbracci finché non starai bene.» Il suo sorriso è contagioso e mi ritrovo a ingigantire il mio, seppur la tristezza serpeggi sotto la mia pelle per il suo mancato festeggiamento; anche se, il secondo dopo, mi ritrovo senza fiato per il colpo che i miei polmoni hanno ricevuto. Olly si è lanciata tra le mie braccia, poggiando la sua testa sul mio petto e stringe le sue braccia sulla mia schiena. Questo contatto dura giusto il tempo di rendermene conto, perché quando cerco di avvolgerla tra le mie braccia, sguscia ancora via e torna a sorridere, asciugandosi le lacrime.
«Questo è solo un assaggio di quel che ti aspetta quando sarai guarito.» Mi fa l'occhiolino e recupera il mio borsone, infine si incammina per raggiungere l'auto.
«Non stare troppo a rimuginare troppo sui motivi del loro comportamento, sono donne.» Mi volto verso mio padre, confuso quanto me, e annuisco; seguendolo verso il parcheggio.

Il mio amore sbagliatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora