Capitolo 21: 127: una stanza, due persone, sette giorni

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Due anni prima, 22/07Città di New York

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Due anni prima, 22/07
Città di New York

Apro la camera numero centoventisette e non smetto di tenere la mano a mia sorella; il sorriso sul mio volto non riesce ad affievolirsi e lo stile della stanza che mi si para davanti mi fa capire che mamma aveva proprio ragione a voler fare l'agente turistico. Compio un passo in avanti e mi trascino dietro Olly, la quale non riesce a smettere di fare domande e di chiedermi dove siamo.
«È inutile che cerchi di nascondermi il fatto che non siamo più a San Diego, quello l'ho capito da me.»
Si lamenta dalla benda sugli occhi da quando l'ho fatta imbarcare; oltre ai lamenti che ha fatto per la musica alta nelle orecchie che le ho messo durante il volo.
Nonostante tutto questo, sono più che felice di averle preparato tutto questo.
Scosto le tende e do la mancia al facchino che ci ha portato le valigie, il quale mi saluta calorosamente e aggiunge che io e Olly siamo proprio una bella coppia. Le guance si incendiano e non riesco a negare la sua frase solo perché si è già chiuso la porta alle spalle, lasciandoci soli. La luce delle nove di mattina rischiara e scalda il mio volto nonostante quest'ampia finestra che ne blocca i raggi e riprendo tra le mie mani la mano di mia sorella; la conduco al mio fianco, di fronte alla finestra, e inizio a slacciarle pian piano la benda.
Avvicino la mia bocca al suo orecchio e respiro il suo profumo, mentre la sua pelle si ricopre di brividi che incominciano dal punto in cui il mio respiro si scontra su di lei.
«Buon compleanno, sorellina.»
E lascio che la benda cada a terra.

A pochi minuti di distanza da questo albergo, si staglia, immenso, l'Empire State Building ed è ben visibile dalla nostra posizione; rimango in contemplazione del paesaggio in fronte a me, in attesa di una qualche reazione da parte di Olly, mentre rimango alle sue spalle e con le mie labbra a un soffio di distanza dal suo collo. Il suo profumo penetra, prepotente, nelle mie narici, arrivando fino al cervello e devo farmi molta forza per non abbassarmi e dare sfogo ai miei pensieri più oscuri, ma riesco a trattenermi e aspetto a lungo un qualche cenno da parte sua; cosa che non sembra voler avvenire.
Mi sposto da lei e prendo qualche respiro profondo per rimediare a quelli di cui mi sono privato per non lasciare baci umidi sul collo di mia sorella; pochi secondi dopo, lei si gira verso di me: gli occhi brillano e qualche lacrima scorre ancora indisturbata sulle sue guance, ma il suo sorriso cattura tutta la luce che il sole dona al nostro mondo per poter vivere e la fa sua. Compio un passo nella sua direzione e allungo una mano, rubando quella sua stilla di emozione dalle sue guance leggermente rosse e perfette con un dito; lei continua a guardarmi in silenzio e io inizio, invece, a pensare di aver sbagliato o esagerato.
Sicuramente avrebbe voluto condividere tutto questo con Alexandra e non con me; forse avrei dovuto fare il biglietto a nome suo al posto del mio.

Poco dopo, sono costretto a compiere un paio di passi indietro per mantenere l'equilibrio e le mani di mia sorella si cercano tra di loro oltre la mia schiena. Porto le mie braccia oltre le sue spalle e la stringo a me, poggiando il mio mento sulla sua testa.
«Hai portato la macchina fotografica, vero?»
Rido, lasciando che questa risata mi svuoti di ogni brutto pensiero, insicurezza e la tensione del sentirmi in errore e porto la testa all'indietro; gli occhi chiusi nascondono il colore del soffitto, ma dietro le palpebre serrate sento e avverto tutto della ragazza che non ha ancora sciolto l'abbraccio che ci unisce.
Torno nella posizione iniziale e stringo le braccia attorno al suo corpo, quasi come se volessi imprimermi le sue forme contro il petto.
«Certo che l'ho portata, è dentro la tua valigia.»
Si stacca e fissa ancora per qualche secondo i miei occhi scuri; dentro le sue perle noto la felicità, l'eccitazione di trovarsi nella città che ha sempre voluto visitare e il ringraziamento nei miei confronti per averle fatto avverare un sogno.
«Che cosa stiamo aspettando, quindi? Usciamo ed esploriamo!»
Rido e tengo per me il dettaglio che rimarremo qui per un'intera settimana, grazie anche al contributo dei nostri genitori, che hanno deciso di supportarmi in questo regalo così speciale e la seguo fuori dalla porta centoventisette.

Il mio amore sbagliatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora