Capitolo 48: Restare

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Un anno prima, 07/04Città di San Diego

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Un anno prima, 07/04
Città di San Diego

Mi sveglio di soprassalto, sentendo i tagli sulle braccia bruciare per il contatto con la sabbia e corro in acqua a sciacquarli, cercando di limitare i danni che ho fatto; il bruciore aumenta e mordo un labbro per cercare di trattenere le urla.
Sono solo in questa spiaggia ormai, ho solo la compagnia del sole morente a indicarmi che ho ormai ultimato il mio tempo su questa spiaggia, così esco dall'acqua e, senza neanche aspettare che l'acqua lasci, almeno in parte, il mio corpo e i miei boxer, indosso quello con cui sono uscito stamattina e torno sui miei passi.
Infilo un piede in fronte all'altro, formando una linea retta che mi riporterà dove tutto è iniziato e, a ogni metro macinato, i pensieri tornano a vorticare attorno alla mia situazione con Olly. Non è giusto.
Mi fermo a un semaforo e mi prendo la testa tra le mani, ripetendomi sempre più spesso che non è giusta la situazione in cui l'ho incastrata, o che si è sentita in dovere di intraprendere per colpa mia.
Non è neanche giusto che lei debba essere consumata da un amore così sbagliato e che è andato troppo oltre: è ora di mettere un punto a questa storia.

Arrivo a casa e mia madre si lancia su di me, chiudendo in un abbraccio soffocante e le sue lacrime bagnano la mia maglietta, già fradicia; mio padre si avvicina e mi stringe una spalla e poi mi chiede dei tagli alle braccia, facendo preoccupare a...

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Arrivo a casa e mia madre si lancia su di me, chiudendo in un abbraccio soffocante e le sue lacrime bagnano la mia maglietta, già fradicia; mio padre si avvicina e mi stringe una spalla e poi mi chiede dei tagli alle braccia, facendo preoccupare ancora di più mia madre.
«Dove sei stato? Perché non ci hai avvisati? Ci siamo preoccupati da morire!»
Rispondo che sono semplicemente andando alla spiaggia e che avevo dimenticato il cellulare a casa, mentre mio padre mi medica le ferite; mi irrigidisco, però, quando mia mamma dice che deve avvisare Olly e che sono ore che è fuori con Alex per cercarmi.
Abbraccio entrambi i miei genitori, nonostante le proteste di mio papà e chiedo di essere perdonato per la mia testa matta e prometto di non farlo mai più; sorridono e mi lasciano andare in camera. Non aspetto il ritorno di mia sorella, non la cerco, non rispondo ai suoi mille messaggi che mi stanno facendo esplodere il cellulare e mi rifugio sul balcone.
Che cosa posso dirle per rendere questa fine meno dolorosa?

«Ti sembra il modo di sparire e far preoccupare le persone?»
Non rispondo e non mi muovo dalla posizione che ho preso lunghi minuti fa, non mi scompongono neanche quando i piccoli e leggeri pugni di mia sorella iniziano a colpire la mia schiena. Lei non si ferma, continua imperterrita per sfogare la sua paura e, forse, anche la rabbia nei miei confronti per averla fatta preoccupare, ma io ho bisogno di raccogliere tutte le forze di cui dispongono per iniziare il mio discorso.
«Mi avevi promesso che non saresti mai più scappato da me!»
Mi volto verso di lei, lentamente e un pugno colpisce uno dei tanti tagli che percorrono le mie braccia e lei inorridisce, portandosi le mani davanti al volto. Si butta su di me e cerca di capire l'entità del danno, sommergendomi di domande su cosa mi è successo e quanto dolore provo.
Non sono quelli a farmi male, sorellina.

Il mio amore sbagliatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora