Capitolo 35: Naufrago

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Due anni prima,Città di San Diego

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Due anni prima,
Città di San Diego

Mi siedo al solito posto, aspettando che mia madre ci riempia i piatti con la sua famosa mac and cheese e non rivolgo neanche uno sguardo a mia sorella, seduta al mio fianco. I nostri occhi non si cercano, i nostri corpi si distanziano, come se fossimo due calamite uguali che non possono entrare in contatto; le mie mani prudono talmente tanta è la voglia di sfiorare le sue, di stringerle tra le mie e poterle sussurrare qualcosa di spiritoso all'orecchio o semplicemente darle un bacio sulla guancia. Eppure, so bene di meritarmelo e che la colpa di questa distanza è solo mia.
Lo stomaco si chiude e il profumo della pasta, che mi viene posto sotto il naso, mi fa solo salire la bile lungo la gola e sono costretto ad allontanare il piatto per non dover correre al bagno con una mano sullo stomaco e una sulla bocca.
«Scusatemi, ma non ho molta fame quest'oggi.»
Tutti gli occhi sono su di me, tranne i suoi, e io cerco di deglutire l'aria per sentirmi meglio.
«Ma devi mangiare, altrimenti poi non ti sentirai bene.»
Alzo le spalle alle lamentele di mia madre ed esco da quella stanza soffocante, rinchiudendomi nella mia: apro la finestra e faccio in modo che l'aria fredda circoli libera tra queste quattro mura. Mi siedo sul letto, portandomi le ginocchia al petto e le mani a tenerle unite; chiudo gli occhi, ormai stanchi per le notti che ho trascorso in bianco, ma li riapro non appena i ricordi di Olly distrutta per colpa dei miei gesti, le mie parole e i miei sentimenti si ripresentano dietro le mie palpebre.
Non posso vederla ancora così.

Fisso il muro nero che crea l'appoggio per la scrivania e l'armadio che mi si parano di fronte, come se fossero lo spettacolo migliore che potessi desiderare e resto in silenzio, godendomi la danza del vento come mi ha insegnato a sentire mia sorella.
Gli occhi bruciano per il costante sforzo che al quale li sottopongo con i miei pianti giornalieri e ora sono del tutto secchi e senza l'ombra di una lacrima pronta a lasciare il suo porto sicuro; il corpo trema vistosamente, colto dai singulti di un pianto che non riesco più a esternare, mentre il cuore continua a battere solo per inerzia e per permettermi di vivere ancora e ancora.
Ma che senso ha la vita se non posso condividerla con la ragazza che amo?
Sposto lo sguardo oltre la ringhiera, osservando la strada che si snoda sotto il balcone, il marrone degli alberi che la delimitano e le case rumorose e illuminate a festa, ancora. I rami, secchi e privi di vita, frusciano sotto la potenza del vento, lasciando che faccia di loro quel che vuole quella forza invisibile, che è anche parte del loro sostentamento, ed è così che mi sento: frastornato dalla potenza del vento, freddo e implacabile, impossibilitato a scegliere per me e la mia felicità, costretto a seguire dei movimenti dettati da altri.
Questa è sempre stata la mia vita: prima sotto le decisioni di mio padre per vedermi meno vivace di quel che ero e poi costretto alla fuga dagli occhi e dal giudizio della gente a causa dei miei sentimenti.

Qualcuno bussa alla porta, ma fingo di non sentirlo e non mi muovo dalla mia posizione, continuando a osservare il mondo esterno a questa stanza come se fosse l'unica cosa che mi è concessa di fare. La maniglia si abbassa più e più volte prima che lo sgradito visitatore si renda conto che è chiusa a chiave e, solo allora, ruoto il collo per fissare quell'ammasso di metallo dello stesso colore dell'argento con i miei occhi stanchi.
Vorrei solo riuscire a dormire per cinque minuti senza dovermi svegliare con un grido incastrato in gola per il dolore che sto affliggendo alla mia anima e a quella di mia sorella.
Un rumore sospetto mi fa spostare lo sguardo, ma la camera è come l'ho lasciata in questi giorni di isolamento autoimposto e torno a chiudere gli occhi, sperando che siano solo brutti scherzi da parte della stanchezza; li riapro quasi subito, concedendomi solo quei pochi secondi in cui Olly mi ha aperto il suo cuore. Ora, posso osservare come un'allucinazione sia accucciata sulle gambe di fronte a me, osservandomi con uno sguardo preoccupato e addolorato allo stesso tempo.
Alzo un braccio, avvicinandolo al suo viso, ma ritirandolo immediatamente per paura di incontrare solo il vuoto al posto di quel viso dalla pelle liscia e perfetta.

Il mio amore sbagliatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora