Capitolo 38: Perché non riusciamo più a parlare?

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Un anno prima, 22/01Città di San Diego

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Un anno prima, 22/01
Città di San Diego

L'odore del silenzio è simile a quello della solitudine: dipende dal proprio essere. Ultimamente, mi sento molto diverso ed è proprio la compagnia dell'assenza di suoni e di persone che ricerco; la mia anima sembra cibarsi di quel che la gente cerca di evitare e i miei pensieri paiono quasi arrestarsi quando sono da solo.
Oggi il loro profumo mi ricorda la cioccolata calda, quella piena di schifezze zuccherose, come piace tanto a Olly; così entro in cucina e, con più lentezza del solito, preparo le tante cose che mi servono e mi metto ai fornelli.
Con un braccio in meno, sono molto più lento, ma ho avuto il tempo per pensare e capire che io e mia sorella abbiamo bisogno di parlare a quattr'occhi e chiarire, una volta per tutte la nostra situazione; così non posso non esultare quando la porta di casa si spalanca nel momento in cui ho iniziato a versare il liquido scuro come gli occhi della ragazza che amo in due tazze separate.
«C'è qualcuno?»
Ingoio un'imprecazione quando della cioccolata cade sul bancone e rispondo a mia sorella di raggiungermi in cucina; poi riesco ad appoggiare il pentolino nuovamente sui fornelli per dedicarmi alla parte più divertente di questa bevanda: le decorazioni.
«Cioccolata calda!»
Olly entra saltellando, affiancandomi davanti alle tazze calde e ruba, con velocità, un piccolo marshmallow e se lo mette in bocca, gonfiando le guance come un adorabile scoiattolo. Le colpisco la mano colpevole con la mia e poi continuo con la mia opera artistica fin quando entrambe le tazze non sono colme di panna montata e zuccherini vari che la colorano, cosa che le fa assomigliare a due nuvole sulle quali sono rimaste tracce di arcobaleno.

Cerco un modo di riuscire ad afferrare entrambe le tazze con una mano sola, ma mi risulta pressoché impossibile e sono costretto a non portarla anche per mia sorella, così ci sediamo sul divano: lei tiene la sua tra le cosce, scaldando la sua temperatura corporea e la mia, io l'appoggio sul tavolino di fronte a noi perché sento già abbastanza caldo dentro di me. Mi schiarisco la gola e inizio la conversazione con mia sorella chiedendole com'è andata con Alex e si lancia in una discussione, con tanto di gestualità esagerata delle mani, sui mille vestiti che si è comprata la nostra amica e quelli che ha fatto provare a mia sorella.
Annuisco, senza ascoltarla veramente mentre cerco di prepararmi un discorso da propinarle, senza risultati.
«Ascoltami Olly, io e te dobbiamo parlare.»
Queste parole mi escono spontanee di bocca, interrompendo il suo monologo e facendo in modo che lei si volti verso di me, con le labbra socchiuse e uno sguardo confuso a coronare la sua bellezza angelica.
Prendo la tazza con la mia cioccolata in mano e ci soffio sopra, prima di berne un sorso per darmi un coraggio che sento scivolare in un angolo sempre più remoto di me.
«Non possiamo andare avanti così, lo sai? Io che ti dico che non possiamo stare insieme e tu che cerchi ogni modo di farmi cedere.»
Prendo un grosso respiro e chiudo gli occhi per un secondo, sperando di non vedere il suo dolore quando riaprirò le palpebre.
«Non è salutare, per entrambi.»

Ci osserviamo in silenzio, ognuno con il timore di fare la propria mossa o intento a riordinare le idee; l'odore di cioccolata si raffredda sempre di più, così come il liquido all'interno delle nostre tazze e ora riesco a percepire un vago sentore di pesche. L'unico profumo che è capace di mandare al macello ogni parte di me per poi ricompormi in modo diverso, meglio di quanto già fossi.
«Capisco quel che vuoi dire, Sergio.»
Smetto di recepire quel che lei continua a dire sentendola chiamarmi ancora per nome e sento il cuore rompersi ancora in mille pezzi; perché ho sempre amato l'affetto che imprimeva in quel nomignolo, sentivo ogni volta il legame che ci univa, invece ora sento solo un freddo Sergio fuoriuscire dalle sue labbra.
Ti ho distrutta così tanto da non voler neanche rimarcare che io sia tuo fratello?
Poggio la tazza, quasi del tutto piena, sul tavolino di fronte a me e mi alzo, senza neanche chiedere scusa alla ragazza che sta ancora parlando; lei poggia una mano sul mio polso e cerca di fermarmi, mi pone delle domande alle quale non regalo risposta e continuo a camminare. Mi fermo solo quando lei si mette nel mezzo del mio cammino, sbarrandomi la strada per la mia camera.
«Spostati, devo fare delle cose.»
Scuote la testa e rimane a imitare una stella marina senza muovere altri muscoli, sbuffo, alzando la testa al cielo e cambio direzione, puntando alla porta del bagno; anche lì mi vedo sbarrare la strada e inizio a perdere la pazienza.

«Che cosa vuoi?»
Quasi ringhio nella sua direzione, provato dall'amore che non posso esternarle per proteggerla dal mondo; provato dal dolore che mi sto autoinfliggendo e che sto facendo provare a mia sorella, dal suo distacco nei miei confronti e la voglia di sbattere mille e mille volte ancora il braccio sinistro contro qualsiasi superficie abbastanza dura da rompere quest'ingombro inutile che non fa altro che infastidirmi.
Lei sembra rimpicciolirsi sotto il peso delle mie parole, ma non distoglie lo sguardo dal mio e compie un passo verso di me; io ne faccio, inconsciamente, uno indietro, allontanandomi da lei e dalla tentazione che è per me.
«Sergio, perché non mi parli più?»
Tiro un pugno contro il muro dietro di lei e rimango fermo con la mano a pochi centimetri dal suo orecchio e la vedo tremare davanti alla mia furia, ma non riesco a fermarmi ed esplodo con una potenza di cinquanta megatoni, proprio come la Bomba Zar.
Esplodo e urlo che sono costretto dai suoi comportamenti ad allontanarmi da lei perché non posso permettermi ulteriori passi falsi con lei; urlo che ho un cuore che batte per lei e non posso concedergli di vivere; urlo che odio questa situazione perché sono sbagliato. Che entrambi siamo sbagliati secondo l'intero popolo della Terra.
Urlo fino a non sentire più la voce, urlo finché le corde vocali non mi chiedono pietà e mi è rimasta solo un'ultima cosa da dirle, anche se lei è raggomitolata su sé stessa e piange, disperata.

«Ti sto lontano perché m hai privato anche dell'unica forma di amore che ci era concessa smettendo di chiamarmi fratellone
Termino di sfogarmi senza distogliere gli occhi dai suoi e mi accorgo che anche le mie guance sono solcate da così tante lacrime che non si possono contare. Stacco la mano dal muro e do le spalle a mia sorella, dirigendomi verso la mia camera e spalancandone la porta.
«Ho smesso di chiamarti così perché avresti smesso di considerarmi tua sorella, perché così avresti capito che l'unica cosa che conta è l'amore che ci unisce, non il sangue che condividiamo.»
Mi pietrifico sulla soglia della porta e le lacrime di dolore si mischiano a quelle di rabbia.
«Ho iniziato a chiamarti Sergio perché, magari, tutto questo ti avrebbe fatto meno male.»

Buongiorno cuoricini,Lo so, non è il capitolo più felice che io abbia mai scritto, ma è necessario: dopo questo cambierà tutto, se in meglio o in peggio dobbiamo ancora scoprirlo insieme

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Buongiorno cuoricini,
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Ci vediamo al prossimo capitolo,

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