Capitolo 23: Il vento del cambiamento

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Due anni prima, 23/07Città di New York

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Due anni prima, 23/07
Città di New York

L'aria sferza le guance; i capelli volano, liberi, assieme al vento che li scompiglia giocoso e il freddo penetra nelle ossa, freddo che quasi ti implora di non rimanere all'interno del caldo battello per percepire qualcosa sulla pelle.
E così, io e Olly, lo assecondiamo; io con le mani che avvolgono la ringhiera che mantiene il mio peso, leggermente teso in avanti per non lasciarmi sfuggire nessun dettaglio e mia sorella, al mio fianco, è poggiata di schiena dove io mi reggo per fotografare tutto quel che le capita sottomano.
«Guarda, Sergio! Sono riuscita a fotografare un gabbiano che rubava del cibo da quell'anziana signora!»
Chiudo gli occhi, riparandoli per poco tempo dal forte vento, e lascio che la felicità scorra indisturbata in tutto il mio corpo e libero una risata che non nasconde niente di quel che provo in questo momento. Mi volto, lasciando quei pezzi in metallo bianco per recuperare mia sorella e abbracciarla da dietro; entrambi cominciamo a ridere e lei cerca di liberarsi, in un gioco vecchio come il mondo, ma che non mi stancherò mai di fare.
Le faccio credere di essere riuscita a privarsi del mio tocco sul suo corpo e la vedo iniziare a correre tra le persone che si voltano a osservarla; qualcuno sorride alla vista della sua felicità, altri le scoccano occhiatacce perché ride a perdifiato e altri scostano subito lo sguardo.
Mi riesco a rendere conto che dovrei essere un po' più come lei e fregarmene meno del pensiero altrui, perché l'importante è che la felicità sia dentro di me e nella donna che amo.
Comincio a correre, inseguendola, anche se gli sguardi indiscreti mi bucano la pelle e sembrano voler cercare ogni mio segreto.

Ci fermiamo solo quando ci viene chiesto di fare attenzione durante il momento dell'attracco e la afferro tra le mie braccia.
«Ora non mi scappi più.»
Glielo sussurro a poca distanza dalla sua guancia e la vedo voltarsi leggermente per potermi guardare negli occhi: ora le nostre labbra quasi si sfiorano e vorrei tanto colmare questi pochi, insignificanti centimetri per assaggiarle, ma non mi muovo e la osservo, imprimendo nella mente tutti questi particolari che dimostrano la sua felicità.
Scendiamo, tenendoci per mano e la vedo guardarsi intorno con vivo interesse; dalle persone che, come noi, sono venuti qui per visitare la Statua della Libertà, all'erba fresca che si vede sotto il monumento. Io osservo lei, invece, la osservo e la mia gioia aumenta a ogni battito del mio cuore, il quale è ancora accelerato per la corsa sul battello.
Olly si posiziona sul prato, sdraiandosi a pancia in giù per cercare l'angolatura migliore e io osservo i suoi lunghi capelli, racchiusi in una coda di cavallo, allungarsi per gran parte della sua schiena; poi osservo come inarca quest'ultima e mi soffermo qualche attimo di troppo sul suo, cosiddetto, lato b. Osservo quelle due semisfere tonde e sode che i jeans azzurri, che indossa oggi, le mettono in risalto e poi distolgo lo sguardo: la paura che qualcuno possa essersi accorto di come guardo mia sorella torna, prepotente, in me. Nessuno fa caso a noi, però; nessuno sa che io e lei abbiamo questo stretto legame di parentela; nessuno sa niente di noi.
Ma io so tutto e questo permette al terrore di stritolarmi il cuore.

Lunghi minuti dopo, sento afferrarmi una mano e mi volto, trovando la mia Olly tutta sorridente che cerca di tirarmi verso la fila per salire sulla statua; mi libero della sua presa, cercando di non farla rimanere male e mi pongo al suo fianco. Camminiamo senza fretta e seguiamo la calca ordinata di persona, passo dopo passo, fin quando non è il nostro turno di poter raggiungere il punto più alto di questo meraviglioso monumento.
Lo spazio è piccolo su questa corona, ma la fatica fatta per raggiungerla ti fa vedere il paesaggio che ci circonda con altri occhi: occhi di chi ha vinto, di chi ha raggiunto il proprio obiettivo e di chi ha, finalmente coronato un sogno. Mi volto verso mia sorella, i miei luccicano per la felicità di essere qui con lei, ma i suoi sembrano spenti e la macchina fotografica penzola spenta sul suo petto; la osservo poggiarsi contro quelle finestre senza vetri e fissare davanti a sé senza interesse e capisco che sono riuscito a ferirla anche se ho cercato di fare il contrario.
Devo smetterla di pensare al mio terrore e iniziare a concentrarmi solo sul renderla felice, come mi ero ripromesso di fare.
Appoggio il mio petto sulla sua schiena e la circondo con le mie braccia, mentre il mio mento riprende il suo posto sulla sua testa; stringo forte, facendole sentire che lei è importante per te e una lacrima sfugge al mio controllo.
Vorrei poter essere una persona diversa, per te. Per poter stare con te.

«Tu, prima, hai detto che non sarei più scappata da te.» La sua voce sembra rotta mentre mi dice queste cose, in un sussurro che il vento leggero, che soffia oltre questa struttura, cerca di rubare prima che io possa afferrarlo.
«Eppure, tra i due, sei sempre tu quello che scappa da me.» Si volta verso di me, mostrandomi le sue lacrime e la tristezza nei suoi bellissimi occhi scuri.
«Perché? Perché lo fai sempre?»
Il cuore si disintegra davanti al suo tono distrutto dal dolore e alla visione che lei mi sta mostrando e non è più solo una piccola goccia salata a bagnarmi le guance prive di barba, ma tante quante quelle che solcano quelle di mia sorella.
Non so come rispondere e rimango in silenzio a osservarla, osservare quelle stille di dolore che colano fino al pavimento sotto di noi e, ogni volta che una di loro colpisce la lastra che ci tiene a quest'altezza, il mio cuore perde un pezzo. Vorrei stringerla a me, ma ho paura che potrebbe scapparmi e rimango con le braccia attorno alla sua schiena e una breve distanza a separarci.
Pochi secondi dopo, è proprio lei a lanciarsi contro il mio petto per un abbraccio addolorato e disperato e io ricambio con tutta la forza che ho.
«Scusami.» Lo mormoro contro i suoi capelli e continuo a farlo, come se fosse l'unica cosa che ci permette di continuare a vivere.
Scusami Olly, scusami per quello che sono e che provo per te.

Buongiorno cuoricini!È triste la fine di questo capitolo, eh? Però, come sempre cerco di dirvi, non scrivo storie inventate, ma cerco sempre di scrivere storie inventate che raccontano il reale

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Buongiorno cuoricini!
È triste la fine di questo capitolo, eh? Però, come sempre cerco di dirvi, non scrivo storie inventate, ma cerco sempre di scrivere storie inventate che raccontano il reale.

Buongiorno cuoricini!È triste la fine di questo capitolo, eh? Però, come sempre cerco di dirvi, non scrivo storie inventate, ma cerco sempre di scrivere storie inventate che raccontano il reale

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Che ve ne pare di questo capitolo? E di questa gita a New York? Vi sta piacendo?
Fatemelo sapere.
A presto!

A presto!

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Il mio amore sbagliatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora