Un anno prima, 08/01
Città di San DiegoIl rumore dello scontro, la morbidezza del campo da gioco sotto di me, le urla dei tifosi che osservano la partita e quello dei miei compagni che dirigono l'azione.
Tutto svanisce, sovrastato da un solo, singolo rumore: quello di ossa che si scontrano, che lottano e si spezzano sotto la forza del colpo inferto. Il silenzio rimane e mentre cadi, vedi il mondo immobile che ti fissa senza tenderti una mano per aiutarti e fa in modo che tu crolla contro la superficie coperta da un manto di erba morbida e terra scura che si alza e rischia di finirti dentro la bocca.
È quello che fino a un battito di palpebre prima, ho sentito io.
Rimango a terra, sentendo un braccio completamente fuori uso e chiudo gli occhi: non sopporto la visione del sangue e ho paura di vederne fin troppo questa volta; il gioco continua finché qualcuno non si accorge che io non mi sono rialzato e sento tante voci circondarmi. Quella del coach, però, un paio di secondi dopo, le supera tutte e chiede di lasciarmi spazio per poter osservare quello che mi è successo.
Mi pone delle domande, ma vorrei solo essere libero di contorcermi per il dolore acuto che sento e gli indico il braccio destro senza neanche guardarlo o sentire le sue parole.
Altre grida, altre parole e io non ascolto più niente, mi lascio semplicemente trasportare dove più gli aggrada e, in un momento di poca lucidità, mi ritrovo a mormorare il nome di mia sorella più e più volte.
Quanto ti vorrei qui, amore mio.Il gesso attorno al braccio è fastidioso e pesante, ma hanno detto sono stato fortunato e che la frattura è semplicemente composta, quindi dovrei guarire poco dopo la commemorazione della nascita del presidente Washington.
Sbuffo, alzando gli occhi sul soffitto bianco per distrarmi dalla voglia di sbattere il braccio rotto contro un muro per rompere l'impedimento, bianco anch'esso, che lo costringe in una posizione scomoda decisa dai medici.
Bussano alla porta e alzo il collo, permettendomi di vedere oltre il mio corpo sdraiato e scorgo mia sorella sulla soglia che mi osserva con un velo di tristezza addosso.
«Come stai?»
Mi chiede con voce flebile e rimanendo lontana da me, faccio ricadere la testa sul cuscino in uno sbuffo e mormoro qualcosa sul fatto che potrei tornare a giocare anche in questo stesso momento, se solo potessi togliermi quel coso di dosso; ridacchia e mi sposto su un lato per permetterle di avvicinarsi. Poi mi mordo il labbro, ricordandomi che a malapena ci parliamo da quel bacio che ci siamo scambiati su questo stesso letto.
«Scusami.»
Lo mormoro ancora, tentando di riprendere la vecchia posizione per non farla sentire in difetto, ma mi fermo quando lei si materializza al mio fianco per aiutarmi a sistemare.
«Devi stare attento, le ossa non si sono ancora saldate.» La sua voce è bassa, timida, ma seria come se fosse l'infermiera che sgrida un paziente e io scosto lo sguardo da lei per il rossore che ha, sicuramente, imporporato le mie guance.
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Il mio amore sbagliato
Teen FictionATTENZIONE: Questa storia è da considerarsi un prequel di "Come una goccia d'acqua su un incendio", storia che trovate sul mio profilo. La lettura delle storie non ha un ordine e potete decidere qualche leggere prima o se leggerne solo una delle due...