𝐿'𝑢𝑛𝑖𝑐𝑎 𝑓𝑜𝑟𝑧𝑎 𝑐ℎ𝑒 ℎ𝑜.

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"Preside, posso parlarle?" Chiesi irrompendo nel suo studio.
"Alice." Sorrise sedendosi sulla scrivania.
"Volevo parlarle della mail che le ho mandato, nessuno si preoccupa di quella bambina?" Chiesi incrociando le braccia. Ormai era passata più di una settimana e non avevo avuto risposte.
"Alice, ti spiego il tuo compito. Tenere i bambini, formarli al meglio e dimenticare. Non puoi di certo preoccuparti come fossero tuoi." Non poteva essere vera quella risposta.
"Non ci credo! Non ci credo! Ve ne fregate così?" Domandai basita.
"Si Alice, ce ne freghiamo così. Hai capito benissimo." Scrollò le spalle con fare spavaldo.
"E se fosse sua figlia? Sua nipote? Se la riguardasse in prima persona?" Alzai la voce.
"Alice, mi dispiace che tu sia rimasta delusa. Alzare la voce non porta a niente." La sua calma mi stava montando la rabbia.
"Dispiace a me che lei sia così freddo nei confronti dei bambini che dovrebbe proteggere! Siamo incaricati per fare formazione ed educare questi bambini! Se poco poco scoprissi che mio figlio o figlia ha avuto dei problemi e qualcuno ha chiuso gli occhi per non avere carte da compilare io darei di matto.
Dobbiamo per obbligo morale e lavorativo preservare il loro benessere psicologico!" Cercai di modulare il tono affinché non fosse aggressivo.
"Alice cara, se ti comporti così non troverai facilmente un uomo che voglia metter su famiglia! Noi vogliamo cose che non ci impegnino." Rispose malizioso.
"Scusi?" Tuonai senza pormi un freno al tono aspro. Un fuoco nella gola, di un urlo incontrollato.
"Alice hai una bella scocca, ma dovresti dare un'occhiata al motore perché fa troppo rumore." Si avvicinò prendendomi la mano.
"Cosa starebbe insinuando?" Chiesi con disgusto.
"Che se taci, io e te potremmo essere molto amici." Cercò di avvicinarsi fin troppo per i miei gusti.
"Non la denuncio per il momento, ma sappia che proseguirò a tutelare la bambina!" Mi spostai raggiungendo la porta. "Un'ultima cosa, mi chiami pure per cognome come tutte le altre insegnati, e provi a darmi del lei, anche se potrei essere sua figlia o addirittura potrebbe essere mio nonno." Sbattei la porta correndo all'esterno dell'edificio.

"Ei." Niccolò rispose al primo squillo. Quanto mi mancava quella voce e il suo abbraccio. Sarebbe tornato nel primo pomeriggio per fare le tappe a Roma.
"Amore, passo a fare la spesa o vuoi andare a cena fuori?" Chiesi cercando di non far trapelare il turbamento.
"Ciao amore, io sto bene tu come stai? Oggi giornata sensazionale i bambini hanno fatto un casino ed io ho dovuto prendere provvedimenti seri." Scherzò.
"Dai rispondi alla domanda, scemo." Risi mettendo in moto la macchina.
"Ali che c'è?" Chiese preoccupato.
"Niente, i bambini mi hanno distrutto." Mentii.
"Fingo di crederci perché vorrei che me lo dici a quattro occhi. Ceniamo a casa?" La sua voce era cambiata. Ero riuscita a turbare anche lui, benissimo.
"Ti ricordi domani mattina abbiamo appuntamento per la firma del contratto di casa, e abbiamo pure la cena con i miei." Farfugliai ripensando alla discussione di poco prima.
"Sì me lo ricordo. Ti dispiace se viene mio padre? Con l'occasione te lo presento... so che è tanto che non stiamo insieme, ma non riesco mai a vederlo e poi voglio che ti conosca." Era agitato e si capiva.
"Perché dovrebbe dispiacermi? Nic, ti richiamo più tardi. A che ora inizi?" Chiesi scorrendo i numeri per chiamare Ludovica.
"Che ne so, magari volevi stare sola con me... Va bene richiamami, inizio per le cinque e mezza credo." Rispose tranquillo.
"Va bene, a dopo."
"A dopo piccola." Attaccò ed io chiamai Ludovica.
"Brutta stronza! Ti ho fatto sette chiamate ieri sera e due stamattina! Si può sapere che diamine di fine hai fatto?" Chiese appena alzò la cornetta.
"Sei libera?" Chiesi facendo uscire le lacrime che stavo soffocando.
"Certo, ma che è successo?" Le montò la preoccupazione.
"Un casino. Per favore Lù, pranziamo insieme?" Mi asciugai le lacrime che scendevano copiose.
"Alì, per sentirti piangere è qualcosa di atroce, dimmi dove vuoi che venga."
"Ci vediamo a casa." Attaccai e non so per quale ragione mi sentii vuota. Derubata di un'anima.

Raccontai in parte quello che era successo a Ludovica e lei mi ascoltò attentamente.
"Ali, questa è una cosa grande che vuoi denunciare. La bambina andrà in affidamento..."
"E quindi che facciamo? Per non toglierla alla madre le facciamo vedere che quest'ultima si buca?" Chiesi risentita.
"Non sto dicendo questo, sto dicendo solo che è complicato capire come muoversi." Rispose calma. Certo non sapeva il resto.
"Domani provo a parlare con papà e vedo se conosce qualcuno... hai sentito Fab?" Chiesi sorseggiando l'acqua.
"Mi ha mandato qualche foto di Cuba, e mi ha scritto che sarebbe tornato domani per iniziare il suo tour come Nic... fra poco dovrebbe venire anche Ermal a Roma." Rispose picchiettando le dita in attesa dell'ordinazione.
"Erm? Quando?" Chiesi felice.
"Bho l'ho sentito due giorni fa, mi ha detto che come è a Roma organizza una rimpatriata." Accennò un sorriso ed io annuii giocherellando col bicchiere.
"Lu' ti manca Fab?" Chiesi curiosa.
"Sembra strano ma sì... mi manca avere le crisi perché mi parla." Rise sotto i baffi.
"Ah beh, quella fase io l'ho superata credo bene... però ho bisogno di un abbraccio da parte sua... boh." Bofonchiai confusa.
"Andiamo da lui." Propose.
"La fila già è lunghissima e non voglio togliere il posto a chi non ci condivide niente se non quello." Risposi facendo spazio alla cameriera che posava i piatti sbuffando.
"Aliiii. Sano egoismo non ha ucciso mai nessuno. Hai bisogno di lui ora. Compri il cd e fai la fila e poi gli fai pure una sorpresa. Vuoi che non sia contento?" Chiese lei sorridendo.
"Così saprebbero tutti che sono io..." Borbottai.
"E chissene frega lo infiliamo da qualche parte?" Sembrava abbastanza determinata.
"Va bene, andiamo. Scrivo ad Anna se vuole venire?" Chiesi prendendo il cellulare.
"Prova." Lei sorrise annuendo.

Ovunque tu sia.-𝒰𝓁𝓉𝒾𝓂𝑜.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora