𝐼𝑙 𝑣𝑒𝑙𝑒𝑛𝑜 𝑒 𝑙'𝑎𝑛𝑡𝑖𝑡𝑜𝑑𝑜.

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Alice Pov.

I giorni passarono lenti, l'inerzia mi trascinava a svegliarmi ogni mattina e dormire ogni notte. Pasti per sopravvivere, e sigarette al sapore amaro di lacrime.
Tutto sembrava promettere, che d'amore non si muore. E non sapevo se quella poteva essere chiamata vita.
Incredula e anche un po' innervosita, prendevo atto di averlo perso. Mi mancava la sua voce, e i suoi sguardi.
Mi mancava come poggiava la testa al sedile per guardarmi, mi mancava come ridevo insieme a lui. Non potevo evitare di chiedermi se fosse successo di nuovo, ridere finché non manca fiato.
E ci provai a dimenticarlo, a reprimere il ricordo chiuso in quegli occhi vivi dentro me. Provai a non amarlo, a non sentirne la mancanza. Eppure, mi ritrovavo con mani tremanti, a rileggere messaggi.
Le cuffie riempivano le mie giornate, riproducendo canzoni che parlavano di lui. Non so quanto avrei dato, per averlo con me. Non potevo farci più niente.
La mail di conferma di una nuova casa, arrivò in tarda mattinata. Era ufficiale. Avevo accettato.
Mi ranicchiai sul divano con la coperta stretta intorno a me, nelle cuffie Fabrizio Moro cantava:
"Gli amori vanno via ma il nostro, ma il nostro no! Il tempo passa mentre aspetti qualcosa in più
Ma non rimette a posto niente se non lo fai tu
E intanto ogni cosa se vuoi
Da sempre mi parla di noi." Quanto aveva ragione, non poteva neanche immaginarlo.
"Ali, hai bisogno di uscire." Ludovica mi tolse le cuffie.
"Quando sei tornata?" Chiesi colta alla sprovvista.
"Alice, sono le otto e trenta. Hai mangiato?" Chiese esaminandomi.
"No, non avevo fame." Ammisi bloccando la canzone sul cellulare.
"Mi stai facendo preoccupare. Ti ho lasciata così stamattina, e ti ritrovo così. Non ce la faccio più! Non so come aiutarti." Posò la spesa sul tavolo con fare disperato.
"Ludo, non preoccuparti. Sto bene, non mi serve uscire." Mi alzai lasciando il cellulare sul divano.
"No? Non ti serve? Sono due settimane che sei chiusa in casa. Mangi un pezzo di pane e ti fai la doccia, per poi tornare a letto. Pensi che non me ne sia accorta di quanto piangi?" Il tono preoccupato e il suo sguardo mi fecero rabbrividire, le stavo facendo del male?
"Quanto devo darti della spesa?" Cambiai discorso, per il bene di entrambe.
"Lascia stare. Sono arrivate le bollette, volevo aprirle ma la signora del terzo piano mi ha presa in ostaggio per una chiacchierata e non ho potuto aprirle. Ho concluso la vendita di un appartamento oggi, domani c'è l'atto dal notaio. L'appuntamento è alle nove e mezza, per queste cose ci vuole un sacco di tempo e pensavo che dopo potevamo... beh, andare a mangiare qualcosa insieme. Magari pesce qui sotto?" Chiese spostandomi i capelli.
"Non sono depressa." Ci tenni a farlo presente con tono risentito.
"Ali, tesoro lo so. Volevo solo passare tempo con te, fuori da casa." Sembrava comprensiva, ed io dovevo avere proprio l'aria disperata per averla intenerita.
"Accetto, va bene. Alessandro?" Chiesi mentre ci sedevamo a tavola, lei aprì la scatola di pizza al taglio con disinvoltura.
"Dovevo vederlo per cena, ma non m'andava e gli ho dato buca. Tutte 'ste pressioni me agitano." Morse la pizza, ed io annuii. Stava aspettando il mio giudizio.
"Capisco." Bofonchiai mordendo anche io un pezzo di pizza rossa.
"Beh? Niente commenti acidi, sarcasmo incontrollato... Giudizi esatti che mi fanno arrabbiare? Niente? Dov'è Alice?" Chiese basita dalla mia risposta.
"Non vedo cosa dovrei dirti. Vi ripiegate in relazioni di merda e vi crogiolate in situazioni che non vi piacciono uscendone con un: "Non posso lasciare ora." Più che dirti che hai fatto bene a non vederlo non so che dirti." Presi un altro pezzo di pizza e lei sorrise annuendo.
"Sicura tu stia parlando solo di me?" Chiese lei ridendo.
"No, infatti ho parlato al plurale." Mi alzai per buttare la scatola ormai vuota, e lei annuì. "Non esiste l'amore, è solo qualcosa che speriamo esista." Sorseggiai una coca cola e Ludovica scosse la testa.
"Alice, te lo dico ora, o toni come eri, o ti prendo a calci nel culo." Intimò buttando la sua bottiglietta d'acqua. Mi limitai ad annuire e ad andare in camera mia.
"Ali, mi ero dimenticata di dartelo. Era attaccato allo specchietto della tua moto. Non so cos'è... C'era la chiave del lucchetto nella posta. Mi sono permessa..." Si giustificò.
"Hai fatto bene. Grazie." Afferrai la scatolina piatta, rigirandola fra le mani non faceva granché di suoni.
"Magari è metà orecchio di Niccolò, da parte di Sara." Scherzai, ma nemmeno troppo.
"Seh, è la volta buona che fa la fine del tacchino al ringraziamento." Entrò in bagno, ed io la aprii sdraiandomi sul letto.
Girai fra le mani l'ipod di ultima generazione con le cuffie già attaccate.
C'era una sola traccia registrata. "Per te."
Indossai le cuffie e con un sospiro liberai le lacrime, mentre il pollice premeva per ascoltare. Il buio nella stanza prese colore attraverso dolci note leggere.
"Uno. Due. Tre." La sua voce si fece spazio lenta e sicura.
"Ore tre, ventuno minuti e dodici secondi. 412 ore dopo il disastro.
Le ho contate le ore che ci hanno separato. Non ho avuto la prontezza di accorgermi precisamente il secondo in cui, tu non eri più tu.
Alice.
Poche lettere, le stesse, guarda caso, della parola amore.
Quelle lettere che so bastate pe' tenemme incastrato qua. Ti descrivo quel che c'è? Buio, buio ovunque io guardo. C'è una luce che illumina un foglio.
Non sto a legge,c'è la canzone che ho finito oggi di registrare. Come tutte le cose, indovina de chi parla? De te, brava.
Volevo dirti qualcosa, eppure te hai deciso che non c'era bisogno. E invece sì, ce n'è bisogno. Non lo so che devo dì, qualcosa verrà fuori.
Volevo ditte che c'ho bisogno de te, de respira' il profumo tuo e dimentica' tutto quello che me circonda. C'avrei bisogno de parla' co' te, perché è tanto che non me esce un sorriso. C'avrei bisogno de sentì il cuore mio, che a battiti insegue il tuo.
Nella mia vita, io pochi momenti c'ho da ricorda' come tragici. Uno senz'altro è quando ho saputo che Pikachu è femmina e Titty maschio, l'altro me sa che sei te.
E può esse che è da stronzo, lo so. Catalogarti tra tragedie è tosta.
Però io quella mattina non t'ho cercato. Non sapevo della tua esistenza e la mia vita procedeva come quella degli altri. Vuota in cerca di stimoli.
Probabilmente io, se non fossi entrato per curiosità o opera del destino, in quel posto non avrei saputo di te. Francamente già mi vedevo con un bicchiere d'amaro fra le mani, a chiedermi che senso c'aveva la vita.
Probabilmente, il grande capo lassù, ha deciso che invece dovevo conosce altro, oltre alla disillusione e l'amarezza di sogni che non s'avverano, ce stavi te. Te che co quel sorriso, m'hai spento le paure e acceso l'incanto.
Che me li ricordo ancora l'occhi tua, che pure al buio pesto sembra giorno.
E se provo a parla' de te, me serve n'attimo. Devo pija fiato, e pensa' bene alle parole.
Che me manca sorride al tuo messaggio, e me manca pure sentimme un bambino vicino a te.
Ce l'avevo le cose da ditte, vedi?
Però te, stronza e testarda hai scelto de anda' via. E so' più stronzo io, alle quattro de notte a cerca' un modo pe' parlatte.
Però io te lo dico.
C'hai presente quando un bambino te fissa, e te per uscire dall'imbarazzo sorridi e lo saluti? Io co' te, me sento felice come quel bambino.
Che sei bella come quando segnava Totti al novantesimo.
Che sei bella, come la vittoria della Roma al Derby.
Ti ho cercato pe' tutta Roma, e m'hai fatto bestemmia' più del Raccordo all'ora de punta.
Ti ho trovata per uno stupido scherzo del destino, che continua a prendersi beffe dei nostri sentimenti, e ti ho perso per colpa de un'arrampicatrice sociale, che Dio solo sa, dove vuole arrivare.
Tra un po' c'è un pezzo di sogno che s'avvera, ma se non ci stai te... Beh, allora non me interessa né de vince, ne de perde.
Che io non possa più cantare, se te non torni. Che tornino i tuoi occhi nei miei.
La valigia è pronta, ci sarà il tuo profumo e qualche vecchio ricordo. Il tuo sguardo inchiodato nel mio petto, spero si incrocerà col tuo.
Non me interessa se andrà male su quel palco, a patto che tu sarai al mio fianco.
Sono le quattro e trentanove minuti. Tra un po' me cacciano a calci, ma non me interessa.
Lo dovevi sape' che a me, basta ave' te."

La sua voce era una carezza all'anima inquieta. Il veleno e l'antidoto.
Le lacrime rigavano il mio volto, non c'era sollievo. Sapevo solamente, cosa provasse lui per me.
Nulla che giustificasse, nulla che lo facesse scagionare al mio orgoglio. Vinse, vinse l'orgoglio sulla voglia di prendere la moto e andare da lui.
Un colpo sordo e nient'altro. L'ipod finì nel cestino ed io urlai battendo i pugni contro l'armadio.
Come bruciavano le ferite sul cuore.
"Ali." Ludovica entrò in stanza accendendo la luce. Gli occhi mi si chiusero dolenti, mentre mi lasciavo cadere sul letto.
"Ludo." Risposi annaspando ancora scossa dal pianto.
"Ali, tesoro mio, che succede?" Si sdraiò anche lei sul letto.
"Ludo." Mi lasciai abbracciare, e lei non parlò. Conoscendomi, sapeva che l'avrei mandata via se avesse chiesto ancora.
"Ssssh. Ci vediamo un film?" Chiese accarezzandomi i capelli.
"No. Faccio una chiamata a Sara." Risposi guardandola. Gli occhi celesti di lei si spalancarono.
"Che cosa?" Chiese quasi lanciandomi dalla sorpresa.
"Dico tutto. Cazzo, dico tutto. Le dico che lui ama me. Che io amo lui. Non se lo merita ed è inutile che io la rispetto. Lei non rispetta me. Mi calpesta Ludovica. Eppure io non ce la faccio a pensare che lui possa rischiare per me. Che risolva lui la sua carriera e poi io sarò pronta. Lo aspetterò fino alla fine dei miei giorni." Mi uscì tutto.
"Alice, che fai?" Chiese notando che stavo portando il cellulare all'orecchio.
"La sto chiamando." Ludovica mi tolse il telefono dalle mani, ed io a posteri le fui grata.
"Alice. Non è mettendolo nei guai che risolvi. E che cos'è?" Si alzò, prese fra le mani ciò che avevo appena buttato.
"No. Ludo. No." Cercai di toglierlo quando indossò le cuffie e avviò l'audio. Scaltra come un felino.

Ascoltò con le lacrime agli occhi, e mi fulminò di tanto in tanto.

Puntò un dito contro di me togliendosi le cuffie, l'azzurro dei suoi occhi fece spazio solo al nero.

"Sei una deficiente. Ora lo chiami. Gli dici che vi dovete vedere. Gli dici che anche a te fa male, e apri il cuore come ha fatto lui. Cazzo, ma lo capisci che siete destinati? Che entrambi la notte, vi cercate nei pensieri. Ma io non lo so. Che hai nel cervello segatura? Io ti odio quando fai la testarda. Ti sei cazzo convinta, che lui ha fatto qualcosa di sbagliato. E invece poteva essere solo una enorme cazzata. Siete l'uno per l'altro." Parlò a raffica.

"Ludovica, lui non è bene per me! Lui non può lasciare Sara. Non ora! Quella ci rovina entrambi." La guardai e lei annuì."Possiamo provvedere no? Tu te lo devi prende!" Mi scrollò le spalle, ed io scossi la testa.
"Non ora. C'è troppo in ballo per lui." Risposi seria.
"Ma che c'è un momento?" Chiese scioccata.
"Beh, lui sta tentando la strada per la musica ed ha tutte le carte per fare un percorso stupendo. Io lavoro coi bambini. Basta una cazzata, anche solo una piccola stupidaggine, a rovinarmi la carriera." Bofonchiai.
"Qui lo dico, qui non lo nego. Io se vi intralcia, la faccio fuori." Mi fissò con gli occhi a fessura.
"Calma tigre." Risi e lei scosse la testa.
"A me già stava sulle palle... ma mo. E te rimani una cogliona. Che butti una dichiarazione d'amore così bella!" Alzò gli occhi al cielo ed io risi. "Cazzo ridi?" Mi guardò ed io alzai le mani in forma di resa.
"Scusa. Non sapevo che non si potesse." Risposi ridendo di nuovo.
"Stupida." Mi tirò sul letto, e ci ritrovammo a ridere e scherzare proprio come i vecchi tempi.
Rimaneva il fatto che dovessi allontanarmi da lui, soli due giorni e avrei eseguito.
Sarei partita.
Era il momento, dovevo dirle che sarei andata via per lavoro.
"Non sapevo come dirtelo Ludo, ma io ho accettato quel posto." Annunciai.

"Tu che?" Chiese tenendosi la testa con le mani, come se un masso la teste per colpire.

"Ho accettato, dopo domani parto." Risposi evitando il suo sguardo.

"Non ci credo. Non ci credo." Farfugliò liberando qualche lacrima.

"Ei, non cambierà niente." La abbracciai e lei annuì asciugandosi qualche lacrima.

"Allora domani stiamo insieme tutto il giorno?" Chiese lei fissandomi, come una bambina.

"Domani è solo nostro." Risposi annuendo. Lei mi abbracciò sdraiandosi affianco a me, ed io ricambiai l'abbraccio.

Mi sarebbe mancata come l'aria. Non sapevo che reagisse così.
La sentii tirare su col naso, e pensai stesse piangendo anche se il buio non lasciava sicurezze.
Era davvero giusta la mia decisione?

Ovunque tu sia.-𝒰𝓁𝓉𝒾𝓂𝑜.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora