𝐹𝑎𝑐𝑐𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑖𝑜 𝑒𝑟𝑜...

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Alice Pov.

In viaggio verso Gaeta, Niccolò era silenzioso. In realtà era silenzioso da giorni, ma capivo che stava metabolizzando a modo suo la sera del mio compleanno.

"Manca poco." Guardai il navigatore e lui annuì. "La sentirò mai la tua voce, uomo cavernicolo?"

"Eccola."

"Che felicità."

"Che cosa?"

"Tu! Sei pesante quando fai così."

"Se non ti vado bene..."

"Mamma mia."

"Alice, nessuno ti obbliga a parlarmi."

"Vabbe' e allora famo le belle statuine?"

"Se te va, pure: un, due, tre, stella!"

"Sei piacevole eh."

"Ripeto, non devi parlarmi per forza. Non te senti' obbligata."

"Che coglioni." Sbuffai.

Capivo ogni cosa, ma farmi pagare a me il prezzo di ciò che era successo, proprio non mi scendeva. Stavo cercando in tutti i modi di farlo aprire con me, ma evidentemente qualcosa si era rotto.

Scesi dall'auto senza neanche guardarlo, aprì il portabagagli ed io afferrai la mia valigia, dirigendomi all'entrata dell'hotel.

"Perché?" Domandò raggiungendomi.

"Non devi sentirti obbligato a prendere la mia valigia." Risposi camminando verso la reception.

"Alice." Sussurrò seguendomi.

Dopo il check-in entrai in ascensore insieme a lui, l'aria era decisamente asfissiante. Avrei voluto affondare il viso in quel posto bellissimo, il suo petto. Inspirare il suo profumo e cancellare questi giorni così strani.

Le porte si aprirono e lui mi tolse la valigia dalle mani camminando verso la nostra stanza. Sapevo in cuor mio, che ancora c'era tutto e forse era proprio per quello, che si era chiuso in quel modo.

Posò le valige a terra e uscì in balcone. Lo seguii in cerca di un cenno, un qualcosa che dicesse che ancora tutto era come l'avevamo lasciato quell'otto agosto.

"Nic..." tentai di nuovo.

"Ali." Accennò un sorriso, che però sembrava più una smorfia.

"Andiamo?" Domandai con un cenno della testa. Non ebbi coraggio di chiedere un dialogo.

"Andiamo." Accettò prendendo le chiavi. Uscì dalla stanza, tenendo la porta aperta in attesa che uscissi.

Quella voglia di baciarlo, ma la paura di sbagliare tutto.

"Arena Virgilio?" Chiesi mentre camminava con il berretto abbassato sul viso.

"Mmmh." Annuì.

"Amore, dai più nell'occhio con la felpa e il cappello. Ce stanno trecento gradi." Borbottai scostandomi la canottiera dalla pelle.

"Se acceleri, magari non te riconoscono. Te che dici?" Bofonchiò.

"Dammi la forza di non ammazzarlo. Ti prego." Guardai il cielo; potei giurarci che sul suo viso era nato un sorriso.

Dietro il palco, Ludovica era seduta in un punto nascosto da tutto. La guardai con gli occhi di chi disperato, chiede aiuto.

"Oh. Tutto bene?" Ci guardò entrambi; ed io dopo aver posato lo sguardo su Niccolò, che lanciò la felpa e il berretto. Scossi la testa. Avevo bisogno di ritrovare il mio fidanzato. Nient'altro. Dovevo ritrovare lui.

Ovunque tu sia.-𝒰𝓁𝓉𝒾𝓂𝑜.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora