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... se lo ritrovò di fronte, ad osservarlo con occhi sognanti, le gambe larghe e la faccia da ebete imbevuto di coca.
Parlava a stento e tutto ciò che si poteva decifrare dalle sue labbra non erano altro che un miscuglio di pensieri in contrasto tra una felicità cieca è una tristezza che -invece- vedeva troppo bene chi accaparrarsi...e il prescelto era proprio lui.
Era steso in mezzo a tutte quelle persone che si toccavano, che si dimenavano come tanti vermi in cerca di cibo, lui era lì fermo ad osservare qualcosa in direzione della porta da dove Alex era appena entrato.
Già, non stava guardando proprio niente, o forse una piccola parte del suo cervello era concentrata negli occhi dell'amante che stava tradendo con tanti altri amanti -che paradosso.
In quegli occhi non si nascondeva una cattiva persona, solo uno sconosciuto -che per un motivo o per un altro- si era ritrovato a lavorare prostituendosi in quel posto; era per divertirsi e niente più oltre che per denaro.

"Quindi se le cose stanno così..." - pensò Alex lì impalato.
Lasciò che la porta si richiuse su se stessa, andando via giù per le scale del locale.
Non passò comunque inosservato da un barista suo vecchio compagno di data che non fece nemmeno in tempo a farsi notare.
Tornò all'auto.
Triste ed arrabbiato: lo era con se stesso, con Andrea, con Ester che non lo aveva amato come avrebbe dovuto, non controllandogli il cellulare, il PC, e il tablet; non provava nemmeno a spiarlo e lui si era sentito libero di fare ciò che voleva come se non avesse compiti e valori morali da sostenere -uscire a bere, divertirsi con chi voleva- non si sentiva mai il peso genitoriale addosso: quella figura che avrebbe dovuto essere un modello per suo figlio, quando la madre non c'era.
Invece cosa stava facendo? Sembrava un bambino, un moccioso peggio di suo figlio, altro che genitore...

Cercando di calmarsi tornò in sé anche coi pensieri che in quel momento stavano dando spazio a idee totalmente assurde non permettendogli di essere lucido.
Era debole, non solo moralmente schiacciato dalla vita, lo era anche fisicamente parlando; non riusciva a muovere un solo muscolo come se l'intero suo corpo fosse stato fatto di mucillagine, perfino girare la chiave nella serratura sembrava un'impresa; poi però mise in moto e si allontanò il più velocemente possibile.
Non puntava verso casa, piuttosto stava girando a vuoto per la cittadina e non avendo alcun obiettivo in particolare raggiunse un vecchio edificio abbandonato dove accostò l'auto.

Sentiva il bisogno di distruggere qualcosa solo per il gusto di togliersi di dosso la tensione: doveva sentirsi potente e questo era l'unico modo che gli venne in mente, cercando di trovare più oggetti possibili sul suo cammino -vetro, gesso ... legno- il casino assordante non era un qualcosa che gli sarebbe importato alcunché.

"Bastava liberare l' odio represso...poi tutto sarà tornato alla normalità.
Il casino che ho dentro rimarrà tra queste mura."
- e dopo mezz'ora buona a distruggere pareti prese a piangere.

🦋

Ricordò dei giorni passati coi genitori quando da adolescente gli imponevano di frequentare determinati indirizzi di studio oppure di uscire con la figlia dei loro amici stretti in modo che in futuro...però non è mai stato portato per cose simili; il peso dei familiari lo metteva in una condizione così disagiante che perfino quella povera ragazza che gli stava a fianco aveva pena di lui.
E questo successe anche dopo la scuola, quando gli orari del bar iniziarono ad allungarsi e con loro anche le ore della manodopera...tornava a casa, e piangeva sfinito.

Ricordando bene quell'anno ci fu il boom delle discoteche e delle cerimonie in maschera -tutt'altra cosa di ora dove la mascherina e l' igienizzante mani la facevano da padroni inebriando l'aria di un odore chimico da dare il disgusto ai clienti seduti per l'apericena.
Ester era fuori ogni stagione per via delle sfilate ed il padre era sempre pronto ad accompagnarla, mentre sua madre badava al nipotino felicissima come non mai, come se Mike fosse stato un altro suo figlio per la terza età.
Quel bambino era cresciuto effettivamente con i nonni e questo non faceva di lui un padre attendibile; i suoceri hanno fatto di tutto per non dargli nulla a vedere ma era più che ovvio lo ritenessero un fallito -l'ennesima inutile persona del quale la la loro figlia si era invaghita.
Qui però il guaio era stato fatto il matrimonio c'è stato -breve ed intenso- ma sempre un matrimonio è stato.
Adesso era finito tutto, non rimaneva altro che il corredo e tutti i beni di famiglia tenuti in cassaforte da secoli immemori.

"Solo i beni materiali, niente affetto."

🦋

lo stava ammettendo di essere un fallito. Lo ha sempre pensato ed ora era pronto per urlarlo al mondo intero.

Con le spalle alla parete all'esterno dell'edificio finalmente sentí chiusa la giornata con un profondo sospiro imprigionato nel petto...o forse non era ancora il momento di andare a nanna.
Aveva ancora quel taccuino nella tasca interna della giacca di jeans, se ne era dimenticato subito perché non era un qualcosa che avesse attirato poi così tanto la sua attenzione: era pieno zeppo di agende e quaderni di ogni dimensione sparsi per casa, quello lì sarà stato forse uno dei ricettari della nonna di Andrea -sennò da dove uscivano tutte quelle torte che adorava tanto sfornare alle 9 del mattino?

Aprì comunque ad una pagina qualunque, all'aforisma che lo incuriosiva di più:
"Non riesco proprio a non vedere le cose per come sono sbagliate .
Non c'è una giusta inclinazione che affaccia calmare la parte più debole di me."

Osservando con molta più attenzione, quello non era un ricettario, ma un vero e proprio racconto autobiografico, ma a chi possa essere affibbiato.
Di questo non aveva alcuna idea.

ɐᴉɯ ,ǝ uou ǝɥɔ ɐʇᴉʌ ɐun🌹Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora