Capitolo 67

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Manca ancora un'ora per arrivare a Roma, ed io mi ritrovo seduto in mezzo alle mie sorelle, senza poter smettere di pensare a quella ragazza. Ginevra.

Quando Toby mi ha parlato di lei la prima volta, credevo non avesse più di quindici anni.
Ragion per cui sono rimasto senza parole ieri sera, quando una bellissima donna si è presentata nella mia stanza. Gli occhi verdi, le labbra carnose e i lunghi capelli castani con qualche ciocca bionda mi hanno subito fatto pensare a lui.
Lei è esattamente come lui.
Ha persino il piercing alla lingua che la fa sembrare una stronza, ma quando parla con suo fratello trasuda dolcezza da tutti i pori.

"Fratellino che succede?" Berenice mi scuote due dita davanti agli occhi, risvegliandomi dai miei pensieri "A che pensavi?" Mi chiede poi, guadagnandosi un leggero colpo sulla spalla da parte di Clarissa "Non a che cosa, ma a chi" le sussurra cercando di non farsi sentire da me, fallendo miseramente però.
"Non penso a nessuno in particolare, ho solo sonno" entrambe annuiscono poco convinte e riprendono a parlare tra di loro. Lo sanno benissimo che non avrebbe senso insistere.

Il treno si ferma, e alla stazione troviamo Nico, il ragazzo di Clarissa, pronto ad accompagnarci a casa.

Quando finalmente entro in casa, corro su per le scale chiudendomi in camera mia e sdraiandomi sul letto.
Ho bisogno di un po' di tempo da solo. Devo riflettere.
Il campanello suona, ma io rimango avvolto in mezzo alle coperte immerso nei miei pensieri.
Sollevo la testa verso la porta della mia stanza, quando la voce di mia madre mi chiama "Tesoro ci sono visite per te" sbuffo e apro la porta urlandole di far salire chiunque sia.
Mi rimetto sul letto e aspetto che uno dei miei vecchi amici, salga. Avranno saputo che sono tornato e avranno pensato di farmi una sorpresa. Sarà sicuramente così.

Mi copro la fronte con una mano, mi sta scoppiando la testa.
"Tancredi" Alzo lo sguardo e rimango paralizzato quando i miei occhi incrociano i suoi "Che ci fai tu qui?" Lele si avvicina a passo svelto nella mia direzione e mi afferra le mani "Perdonami. Perdonami per tutto il male che ti ho causato. Perdonami per tutto. Perdonami anche per questo" Non ho il tempo di dire nulla che mi ritrovo le sue mani a stringermi le guance, mentre la sua lingua sfiora delicatamente la mia.
Cerco di allontanarlo, ma una parte di me si rifiuta di farlo. Così dopo circa due minuti, mi lascio andare e stringo i suoi fianchi.

"Amore mio svegliati" spalanco gli occhi, e mi trovo mia madre davanti. Ovviamente era solo un sogno. Lui non verrebbe mai fin qui per chiedermi scusa.
"Tanc sei pallido. Che cosa stavi sognando?" Fingo un sorriso e stringo la mano di mia madre "Non sognavo nulla, mi hai solo un po' spaventato. Non sono abituato a questo genere di risvegli" Lei mi accarezza una guancia "Scusami bambino mio, solo che è ora di cena e non volevo lasciarti a digiuno" la abbraccio e mi metto in piedi, pronto a scendere in cucina.

Quando io e mia madre entriamo in sala da pranzo sono già tutti seduti a tavola, Nico compreso.
Appena ci sediamo mio padre lancia un'occhiata di rimprovero a mia madre, che con molta tranquillità alza le spalle "Il bambino stava dormendo, ed io l'ho svegliato" mio padre sbuffa "Il bambino ha 21 anni, non 2" abbasso la testa, mio padre é sempre stato più severo con me, forse perché sono l'unico figlio maschio.
La mano di Berenice stringe la mia, mentre Clarissa fa cenno a mio padre di stare calmo.

Durante la cena evito di guardare mio padre negli occhi, non perché non gli voglia bene, ma semplicemente perché i suoi occhi mi mettono in soggezione, é sempre stato così. Quando le mie sorelle cadevano, lui correva da loro e le baciava. Quando io cadevo, lui rimaneva distante e mi urlava di alzarmi come fanno i veri uomini. Non critico mio padre, credo semplicemente che i suoi modi siano stati sbagliati. Un figlio maschio non deve essere cresciuto diversamente da una figlia femmina. Ma ad ogni modo, gli anni sono passati e se sono come sono é, anche, grazie a lui.

"Come va con le ragazze?" La domanda di mio cognato mi fa alzare lo sguardo nella sua direzione e dopo un mezzo sorriso guardo mia madre, infondo tutti loro lo sanno già "Mi spiace deludere le tue aspettative, ma io sono gay" lui mi sorride, mentre le mie sorelle si guardano tra di loro e si sorridono "Cos'è che sei?" La voce di mio padre tuona nella sala da pranzo, facendoci voltare tutti nella sua direzione "Tu..non glielo avevi detto?" Balbetto guardando mia madre, che sbianca e si volta nella sua direzione "Che problema c'è?" Mio padre sbatte i pugni sul tavolo "Ho cresciuto un uomo, non una donna" senza dire nemmeno una parola, mi alzo e mi allontano dal tavolo "É solo una fase. Ti passerà" senza dare ascolto a mio padre, salgo in camera mia e afferro la valigia non ancora sistemata.

Afferro un foglio e scrivo un breve messaggio: "torno a Milano. Non preoccupatevi per me, starò bene"

Appoggio il biglietto sul letto, ed esco dalla mia stanza.
Avvicinandomi alle scale, passo dalla camera dei miei genitori e li sento parlare "Hai avuto una reazione orribile. É nostro figlio, dovremmo appoggiarlo sempre e comunque" non avevo mai sentito mia madre urlare in tutta la mia vita, ma a mio padre questo non sembra importare minimamente "Urla quanto ti pare, io non cambierò idea: La sua é solo una confusione, qualche ragazza lo avrà rifiutato e quindi si sarà messo in testa questa follia. Te ne accorgerai anche tu" non voglio ascoltare nemmeno un'altra parola.
Corro giù per le scale ed esco di casa, chiudendomi la porta alle spalle.

L'aria fredda di dicembre mi fa raggelare nella mia felpa rossa, mentre delle lacrime cominciano a rigarmi il viso.
Come può un padre rifiutarsi di accettare il proprio figlio solo perché gay?

"Come niente fosse"/Tancredi Galli"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora