42. Does he take care of you?

16.2K 726 1K
                                    


Poi si erano lasciati ma in quel modo che non è un lasciarsi veramente: lui era un po' matto, lei troppo bella ma si volevano da morire.
Non potevano stare insieme, non potevano stare lontani: non ci esci da quelle storie. Loro non ci erano usciti veramente.



Tratteneva il respiro: era ancora notte, e la notte la teneva per mano

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.






Tratteneva il respiro: era ancora notte, e la notte la teneva per mano.
E il suo respiro era accanto a lei.
Il suo respiro era sopra di lei, e si stava muovendo, e la stava accarezzando, e lambiva la sua pelle con la propria.
Il suo respiro era semplicemente lui.

E giocherellava con la sua anima che svolazzava tra quelle mura e faceva le capriole tra le sue mani, quelle mani che non erano pioggia tiepida, ma temporale di fuoco, quelle mani che non erano nulla di tutto ciò che era stato, di tutto ciò che lei aveva conosciuto o vissuto prima di lui.
E lei non assomigliava a nulla che lui avesse mai incontrato prima.

Eppure, loro due erano sempre gli stessi.
Un flusso di divenire in un tormento esasperato di ricerca costante, affannoso, l'uno degli abbracci dell'altra: sempre gli stessi, ma mai uguali a prima.

Così era stato, tornare a seguire la rotta dopo uno sconfinato e disordinato girovagare.
Erano arrivati a quel punto della notte, quando l'hai vissuta così intensamente da non riuscire più a capire quanto sia alta la luna nel cielo, né quante ore o quanti minuti possano mancare al giorno.

E i lamenti e i gemiti e le risatine si confondevano a sussurri confusi, a bisbigli rubati al silenzio fatto di sbuffi di lenzuola, e alla voglia di rubare il tempo alle lancette per diventare loro stessi, il loro tempo.
Per rubare il senso al tempo e non averne più. Per essere eterni, pur sapendo che nulla di umano resta eterno: però si può eternamente ritornare.

La guardò, dal basso verso l'alto, steso con la schiena contro il materasso e i capelli sparsi sul cuscino, mentre le sue mani percorrevano il corpo di lei, che si era messa a cavalcioni e si muoveva languida e sinuosa, in modo lento ma sempre più ritmico, e lui ne assecondava i movimenti.

Era illuminata dalla luce della luna e chiudeva gli occhi e schiudeva le labbra per gemere del piacere che riusciva ad infliggersi attraverso il corpo di lui.
Aveva incastrato le dita di entrambe le mani con le sue, e le premeva contro il cuscino.

Quella visione gli sarebbe rimasta impressa nel cuore per sempre, perché era di gran lunga la cosa più bella che avesse mai visto. Si ricordò di quante volte aveva desiderato che fosse sua, di sentire la sua stretta attorno a sé, di vederla lasciarsi alle spalle tutti i pensieri che non fossero quel piacere che si donavano a vicenda.

Quando gli liberò le mani, i suoi palmi si incagliarono all'altezza delle anche e le dita la strinsero con tutta la forza che possedeva in corpo.
La afferrò contro di sé per aumentare la profondità di quell'incastro come a non volerla lasciare mai più.
Non doveva più andarsene.
Lei era sua.
Le spinte erano sempre più profonde e le sue mani sempre più disperate, come ad afferrare qualcosa che sfuggiva al suo controllo.

𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚 𝒚𝒐𝒖 𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚 𝒎𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora