50. It was a perverted thing to say

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Ero nuda tra le sue mani
sotto la gonna alzata
nuda come non mai.
Il mio giovane corpo
era tutto una festa
dalla punta dei miei piedi
ai capelli sulla testa
Ero come una sorgente
che guidava la bacchetta
del rabdomante
Noi facevamo il male
il male era fatto bene.

Il mio giovane corpoera tutto una festadalla punta dei miei piediai capelli sulla testaEro come una sorgenteche guidava la bacchettadel rabdomanteNoi facevamo il maleil male era fatto bene

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Ci sono momenti in cui ci si dovrebbe semplicemente fermare. Respirare.
Momenti in cui la vita si dovrebbe solamente osservarla scorrere, sdraiati sul letto ad ascoltare il sangue fluire lento nelle vene, unico silenzioso segnale a ricordare che si è vivi, immobili a scrutare il soffitto mentre si osservano le palpebre socchiudersi, con la testa che è semplicemente altrove.

Avvolti in un confortevole gomitolo di nulla, illanguiditi da abulica malinconia: il silenzio, la quiete, la contemplazione dello scorrere del tempo.
In una dimensione in cui esiste semplicemente la propria essenza e l'aria che si sta respirando.

E invece.
E invece ci si continua ad affannare, a dannarsi l'anima come se quel continuo peregrinare intorno alle peripezie che il destino ci chiama ad affrontare possa dare un senso alla vita, semplicemente perché non se ne può fare a meno.

E forse Estelle avrebbe avuto bisogno proprio di quello, in quel momento, semplicemente di prendersi una pausa da tutto, di realizzare almeno quello che aveva appena appreso. Perché forse lenta e statica, immobile di solitudine avrebbe capito cosa valesse la pena tenere, nella sua vita, e cosa invece sarebbe stato meglio lasciar andare.

E invece si illuse che quelle ore di volo che separavano la grande mela dalla città degli angeli, sarebbero bastate per fare ordine in quel traffico sconclusionato di pensieri che si ammassavano confusamente nel suo animo, come una cenere luminosa che andava a offuscarle lo sguardo contratto in una ruga d'irrequietezza.

Poi però, era scesa dall'aereo, ancora indolenzita dalle troppe ore seduta, e si era incamminata verso l'arrivo dei voli nazionali, chiedendosi a quel punto quali piani avesse per la giornata a venire.
Aveva deciso di andare in ospedale, prima di tutto, perché sapeva che Harry era in sala registrazioni e stava sinceramente pensando di non chiamarlo affatto.
Era la prima volta che lasciava inascoltata in quel modo una sua richiesta d'aiuto. In realtà, ragionò sul fatto che non gliene avesse mai fatta alcuna. Non gli aveva mai chiesto nulla, non si era mai sbilanciata a mostrargli i lembi della sua debolezza.

Per un attimo, una sensazione strana le attraversò la colonna vertebrale.
Aveva la sensazione incollata addosso di essere osservata, mentre ritirava dal tapis roulant il trolley che aveva imbarcato e si incamminava verso l'uscita del terminal dei voli nazionali.

Era chiaro che Harry, negli ultimi tempi, le avesse trasmesso un timore inspiegabile su un qualcosa che, per qualche motivo, non voleva dirle. E il suo subconscio lo aveva immagazzinato, e adesso se lo stava trascinando addosso come un fardello di valigie pesanti, riproponendoglielo sotto forma di strane sensazioni a pelle.

𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚 𝒚𝒐𝒖 𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚 𝒎𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora