51. I almost died in my dreams again

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"In questa città non c'è posto per una che ha il cuore grande come il tuo.
Mi dispiace, amore: ho fatto quello che potevo. Davvero.
Non ti posso portare con me in questo viaggio... Me ne sto andando, lo sento: ultimo giro di bevute, il bar sta chiudendo, il sole se ne va... Dove andiamo per colazione? Non troppo lontano... Che nottata! Sono stanco amore, stanco..."

Non è facile da spiegare

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Non è facile da spiegare.

Non è facile da spiegare quella sensazione di quando tutto attorno a te è fermo, statico, immobile come la superficie di un placido lago senza increspature, ma se provi a sporgere un piede al di là della barca e immergerlo in acqua, la corrente ti afferra e cerca di trascinarti giù con una spirale di immotivata veemenza.

Non è per niente facile da spiegare, quella sensazione di caos che ti regna intorno, quel frastuono che rimbomba nel timpano nonostante tu sia in una stanza vuota, in silenzio, a navigare sullo specchio d'acqua del tuo animo, avvolto in una quiete riposante. Mentre appena sotto la superficie invece, imperversa una confusione ben poco occulta.

Qualsiasi sistema fisico tende al disordine, al turbamento dello stato delle cose.
Eppure, sembra impossibile ma è proprio quel tipo di confusione universale precedente e successiva al cosmo a permettere la creazione, la trasformazione, l'entropia, a partire dalla nascita dell'universo stesso.

Ed è proprio il caos presente in noi stessi che trasforma l'essere umano in una stella in continuo divenire.
Nascita, dinamismo, evoluzione, morte.

Estelle aveva sempre mal tollerato gli ambienti ospedalieri. Non che pensasse che ci fosse qualcuno che ne fosse particolarmente entusiasta, ma lei provava una repulsione che a volte rasentava i limiti irrazionali della fobia.

Quella camera così incolore, dai contorni monotoni e l'aria insipida, strideva alle sue percezioni come unghie sulla lavagna, e graffiava l'idea che Charlie fosse chiusa in quella gabbia che puzzava di disinfettante, mentre fuori scintillava una giornata piena di sfumature.

A stare chiusa lì dentro, i suoi ricordi galoppavano in direzioni del tutto indesiderabili.
Sua madre era stata ricoverata che lei era ancora una bambina. Una quantità eccessiva di psicofarmaci l'aveva fatta finire ricoverata all'ospedale di Birmingham, ma ne era uscita abbastanza bene, perché era stata presa in tempo: una lavanda gastrica e una nottata sotto osservazione avevano fatto tornare la situazione nei range della normalità, almeno all'apparenza e dal punto di vista fisico.

Li viviamo tutti, prima o poi, quei momenti dell'infanzia in cui la vita ci presenta delle anteprime di ciò che diventeremo da adulti.
Ed era probabilmente in quel momento, in quei minuti interminabili in cui aveva provato la paura di perdere qualcuno che amava, e che in quel momento era tutto il suo mondo, che lei aveva per la prima volta affacciato lo sguardo sul pozzo senza fondo dei suoi sentimenti, e ne era stata travolta. E ne era rimasta spaventata.

𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚 𝒚𝒐𝒖 𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚 𝒎𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora