Capitolo 30

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Meghan's pov

Messaggio da Diana:
Puoi dire a mamma e papà che fino alla festa della banca sto da Dylan?

Messaggio a Diana:
Non glielo puoi dire tu?

Diana's pov

Ore 23:30
Io e Dylan siamo andati a casa sua, i suoi non c'erano, abbiamo parlato, abbiamo discusso... Mi ha chiamato puttana.

Ore 00:00
Mi ha chiesto scusa, forse si è reso conto. Ho fatto una doccia, ma quando sono tornata da lui stava bevendo. Gli ho chiesto se dentro di lui ancora ci fosse il ragazzo che amavo... Se l'è presa per il tempo verbale usato ed ha urlato.

Ore 1:00
Ho provato a farlo ragionare, ma niente... Me ne sono salita di sopra perché non volevo vederlo.

Ore 1:30
Mi ha raggiunto e ha ricominciato ad urlare ed insultarmi. Mi sono arrabbiata e ce l'ho fatta a farmi coraggio, non è questo quello che voglio.

Ore 2:00
Sono scesa di corsa di sotto dopo aver urlato contro di lui con l'intenzione di uscire, ma mi ha bloccata, presa dai polsi e sbattuta violentemente al muro.

Mi fa male la schiena, le gambe mi tremano ed ho paura, paura di lui e del mostro che è diventato. Gli ho detto che mi fa schifo, che è un mostro e non voglio più vederlo, non l'ha presa bene e mi ha insultato.

Ore 2:15
Mi prende di nuovo per i polsi, la schiena aderisce completamente alla porta e mi sta facendo male, forse è davvero questo quello che vuole... Farmi male.

Continuo ad urlargli contro, insultarlo perché voglio farlo star male, ma non funziona. Solo ora mi rendo conto che gli ultimi due anni li ho passati con una persona che non conosco veramente.

Sono impaurita, ma continuo a dirgli quello che penso.

Lo fa, si sfoga, mi tira uno schiaffo che brucia la pelle e mi urla contro che non mi devo rivolgere così a lui. Ho la stessa paura che si prova quando qualcuno ti fa del male, un criminale, un ubriaco per strada, ma il tuo ragazzo non dovrebbe rientrare tra questi, non pensavo che lui ne fosse capace, non pensavo che lui fosse capace di arrivare a tanto.

La pelle della faccia brucia, ma più che altro ha provocato una scottatura al cuore. Lo guardo, ma nemmeno un cenno di pentimento nel suo sguardo, nemmeno un qualcosa che mi fa capire che non avrebbe voluto.

Forse se ai miei occhi si fosse mostrato pentito e dispiaciuto, lo avrei perdonato. Non so come avrei fatto, ma lo avrei fatto come tutte quelle volte in cui mi ha proibito di uscire, di mettere quel vestito o di parlare con i suoi amici appena conosciuti.

Erano tutti chiari segnali di ciò che sarebbe stato e che sta accadendo, ma pensavo fosse solo gelosia di quelle che fanno piacere.

Mi parla a denti stretti, mi dice che non devo chiamarlo mostro, mi ribello, urlo, mi dimeno.

Voglio andarmene, provo a farlo. Mi afferra il polso e mi blocca per le spalle.

Lui è difronte a me ed io difronte a lui, non posso crederci che ho passato così tanto tempo a fidarmi di una persona che non si merita nulla, a fidarmi di una persona del genere.

Gli ordino di mollarmi, gli dico che tra noi è finita, che mi dispiace per la sua famiglia di avere un figlio del genere, che avrei dovuto lasciarlo la prima volta che mi avesse impedito di farmi qualcosa.

Una fitta allo stomaco mi fa buttare a terra, non posso credere che l'abbia fatto. Il suo ginocchio che prima era stato a contatto con il mio ventre in modo brutale ora è sostituito dai suoi piedi che ripetutamente si scontrano contro di esso.

Sei quella vendetta che lascia l'amaro in boccaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora