37. CUORI SPEZZATI

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L'imponente quercia si erge nel giardino, come una vecchia signora dalle mille braccia avvolta in un mantello di diamanti.
Al chiarore delle stelle ricamate su uno sfondo d'inchiostro, la neve diventa una magica distesa argentea in cui troneggia al centro la fontana. L'acqua gelida zampilla dai quattro destrieri di marmo, che mandano riflessi opalescenti nella notte, animando il silenzio di una melodia scrosciante.
Nonostante l'aria sia così fredda da condensare il mio respiro, soffiano refoli di un vento tiepido, quasi che la natura si sia ricordata che è ancora autunno.
Non me ne stupisco: ormai ho capito che il tempo a Sunset Hills è più mutevole dei colori di un camaleonte.

Per quanto mi sforzi di trattenerli, i miei pensieri continuano a tornare su Klaus. Dopo quello che è successo a cena, non posso fare a meno di chiedermi se stia bene. Anche se una vocina nella mia mente mi suggerisce che, più di tutto, voglio sapere la ragione per cui a cena mi ha ignorata completamente.

È per qualcosa che gli ha detto Alizée... o il problema è ciò che ho fatto io?
È arrabbiato perché l'ho toccato? O ha capito che stavo per baciarlo, e non voleva?

«Mi hai evitato in questi giorni».

La voce di Simon mi riporta alla realtà. È di profilo davanti a me, il gomito puntellato sulla balaustra del portico mentre gratta nervosamente il legno con l'unghia.
Si è imbacuccato in un maglione cremisi a collo alto, adatto per il Polo Nord, che lo fa sembrare due volte più grosso e metà del suo volto è coperto da uno sciarpone color zafferano.

«Anche tu». Faccio ciondolare le gambe dalla poltrona a dondolo su cui sono stravaccata. «Sai che sei vestito come un Grifondoro?»

Si volta e i suoi occhi, velati dal riflesso della luna sulle lenti, si conficcano nei miei. Sono di un verde più scuro del solito, come offuscati dall'ansia. «Non ho capito perché».

«Beh, rosso e oro sono...»

«Parlo del bacio» precisa Simon con fermezza.

Non sapendo cosa rispondere, mi limito ad un banale "Ah" e distolgo lo sguardo, facendolo vagare sui cespugli a forma di animali che spuntano dal manto candido. Ci sono un enorme cobra, un elefante, due cigni innamorati che tracciano un cuore con i loro colli e uno scimpanzé aggrappato ad un ramo.

«Ad Halloween mi hai detto che non volevi uscire con me. Il giorno dopo mi hai baciato». Di sbieco, lo vedo stringersi nelle spalle. «Sono un po' confuso».

«Benvenuto nel club. Ci riuniamo il sabato sera» borbotto ironica. «È consigliato portare un dolce».

Simon emette un sospiro e si spinge gli occhiali sul naso. È un gesto che fa sempre, ma soprattutto quando è agitato.
Il suo silenzio è la conferma che, questa volta, le mie battute non potranno salvarmi.

Estraggo il coltellino svizzero dalla tasca e inizio a rigirarlo tra le dita, cercando le parole giuste nella mia testa. «Faccio schifo con i sentimenti, carotino. E non sono brava nemmeno con le persone». Faccio una smorfia mesta. «Non ho mai avuto amici, o amiche. E la mia unica relazione seria è stata un disastro».

«Non... non sapevo che avessi avuto un ragazzo» replica a disagio.

«Storia vecchia». Faccio un gesto indifferente con la mano libera. «Il punto è che la gente si stanca di me, prima o poi».

«Non è vero!»

Osservando i sottili attrezzi ripiegati nel manico, riaffiora il ricordo di mio padre che li mostra uno ad uno e mi spiega la loro funzione.
Lama, difendersi dai pervertiti con gli occhiali da sole. Lima, passarla sul braccio per fare le gare di solletico a chi si gratta prima. Pinzette, ovviamente per dare i pizzicotti. Forbici, tagliare di nascosto i capelli agli sconosciuti sul bus. Apribottiglie, inutile perché i tappi bisogna farli saltare in aria, cercando di colpire chi ti sta antipatico.

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