67. DÉJÀ VU

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P.O.V. KLAUS

Maxwell Storm compare davanti al portone d'ingresso.

Pallido e trasandato, ha l'aspetto di qualcuno che sembra non consumare un pasto decente da parecchio tempo. I vestiti gli ricadono larghi sul fisico un po' emaciato, una rada barba incolta gli copre le guance e il mento mentre i capelli, biondi e arruffati, sono talmente lunghi da sfiorargli quasi il collo. Appesa a una catenella, una fede nuziale gli pende sul petto, brillando di riflessi dorati alla luce del sole.

Di tutti i modi in cui avevo immaginato di ritrovare l'uomo buono, questo non l'avevo proprio considerato.

«Sei come i ratti, vero, Storm?» bofonchia Vincent. È ancora accovacciato davanti a me, ma ora sta guardando in direzione del nuovo arrivato con una smorfia sprezzante. «Spunti ovunque».

Lo sguardo di Maxwell incrocia il mio. I suoi occhi sono uguali a quelli della donna che mi ha cresciuto, la zia che ho sempre chiamato "mamma": un verde scuro come le profondità di un bosco. Gli stessi di cui mi sono fidato quando avevo undici anni. «Io e te dobbiamo smetterla di vederci così, ragazzo».

Vincent si solleva e mi stringe una spalla con fare possessivo. «Come sei entrato?»

«Questa è casa mia, idiota. Ho le chiavi» risponde l'altro pacato, osservando la tavola imbandita di dolci. «Ci manca solo un bambino da cuocere nel forno, qui».

«Come sapevi dov'ero?»

Maxwell emette uno sbuffo annoiato, continuando a vagare per l'ala opposta del cortile senza avvicinarsi. «Il tuo caro Peter. Mi ha detto che l'hai chiamato, che volevi che ti raggiungesse».

Al suono di quel nome, sento la presa di Vincent allentarsi un poco. «Non credevo foste amici. Sai, per quella faccenda che ha rubato una delle tue gemelline».

Lui lo ignora. «Ne sono rimasto sorpreso. Insomma, ti aspettavi davvero che tornasse da te a testa bassa, solo per una cotta vecchia di vent'anni?» Ridacchia, poi mi scocca un'altra fugace occhiata e aggiunge pungente: «Ma avrei dovuto aspettarmelo. Se una cosa ti appartiene, la rivuoi a qualsiasi costo. Ammetto che questo ti rende molto sentimentale, anche se nella maniera più malata possibile».

«Avevo scordato quanto parli». Vincent esplode in un violento colpo di tosse che lo costringe a piegarsi. Tira fuori un fazzoletto dalla tasca e se lo strofina sulla bocca; lo nasconde subito, ma sono sicuro di aver notato delle chiazze rosse. «Fammi capire. Gli Hallander ti hanno mandato a fare il lavoro sporco di nuovo? Ti hanno ricattato con la tua mocciosa che hanno in ostaggio?»

«Ti farò uno schemino facile facile, okay?» Maxwell mi indica con un gesto noncurante. «Tu hai il ragazzo. A mia figlia piace quel ragazzo, quindi deduco che non te lo lascerà volentieri. E io voglio mia figlia al sicuro, ergo il più lontano possibile da te». Inarca un sopracciglio. «Cogli il nostro conflitto d'interessi?»

«E che mi dici dell'altra tua figlia?»

Un muscolo guizza sulla mascella di Maxwell, che si irrigidisce in maniera appena percettibile. Oltre alle sue doti da artista, Keeley deve aver ereditato da lui anche il talento a nascondere i propri sentimenti, soprattutto la sofferenza. «Attento alle tue prossime parole, Freddy Krueger, oppure ti farò un altro ritocchino alla faccia».

«Ne stavamo parlando giusto prima, io e il mio nipotino». Vincent assume un ghigno che gli distorce le cicatrici. All'improvviso mi afferra per i capelli, costringendomi a reclinare il capo, e mi sussurra all'orecchio: «Il tuo eroe dovrebbe sapere chi ha premuto il grilletto, giusto?»

Per un attimo, il pensiero di essere del tutto inerme, impotente, riemerge con tale prepotenza da farmi ribaltare lo stomaco, ma viene subito inabissato da una crescente sensazione di pace. Mi sento la mente svuotata e leggera, come un palloncino bucato dal quale si sono riversati fuori tutti i problemi, le paure e gli incubi con cui convivo da anni.

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