57. LA NOTTE DEL FALÒ PT. 2

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P.O.V. KLAUS

Un dolore martellante mi preme contro le tempie e devo fare del mio meglio per non inciampare nei fitti rami del sottobosco. La luna ha fatto capolino da dietro un vortice di nuvole, rischiarando l'aria nera con la sua luce argentea che si insinua tra le chiome degli alberi, chiuse a cupola sopra di noi.

Quando un rumore simile a un fruscio attira la mia attenzione, mi volto di scatto e punto la torcia del telefono nella direzione del torrente. L'acqua è quasi immobile, dello stesso colore d'inchiostro del cielo. Il riflesso di una falce cerea si staglia sulla sua superficie, appena increspata dal mite venticello che sembra sussurrare segreti dimenticati nella notte.

«Ehi». Un fascio luminoso mi investe, facendomi strizzare gli occhi. Elizabeth è ferma al centro del ponte con il cellulare in mano, le ombre che le tremolano sul volto attraversato da un sorriso. «Vieni? Ho bisogno del mio scassinatore di fiducia».

Annuisco e la raggiungo a passi felpati, non prima di aver lanciato un'ultima occhiata al tessuto di cespugli che serpeggia lungo la riva per accertarmi di essere sbagliato. Avrei giurato di percepire un movimento, ma è probabile che fosse solo una suggestione dovuta all'atmosfera immobile e sinistra. O magari era un coniglio; so che ce ne sono parecchi.

Nell'oscurità, il cottage inglese non è che una sagoma avvolta in un mantello d'edera di un verde talmente intenso da brillare, come un gigantesco smeraldo incastonato ai piedi di una collina ricurva. Ci fermiamo sotto la tettoia della veranda, sorretta da colonne in alabastro sbalzate con motivi floreali e figure di animali. Tra due pali di legno, poco distante, è sospesa un'amaca che oscilla al tocco delicato della brezza.

Elizabeth sbircia dalla finestra che, trafiggendo il muro di mattoni, si affaccia su un soggiorno rustico arredato con travi scoperte e mobili in legno grezzo. «È davvero inquietante» commenta a fil di voce. «Forse non è stata la migliore delle mie idee...»

Ridacchio, più che altro per nascondere la mia irrequietezza. «Non dirò "Te l'avevo detto", stai tranquilla».

Le sue guance si gonfiano in quel modo unico, speciale. Vorrebbe apparire arrabbiata o minacciosa, invece a me suscita sempre un moto di tenerezza. «Inizio a capire perché Jonas non ti sopporta».

Mi avvicino e le sfilo delicatamente entrambe le spille ornate di petali bianchi, per poi pettinarle i capelli - così lisci e morbidi da scivolare come seta - con le dita. In questo momento, il suo bellissimo biondo platino sembra intessuto di scintillanti fili di cristallo.

«Beh, Jonas non ha torto». Mi inginocchio davanti al massiccio portone di noce, quindi inizio a esaminare l'antica serratura in ottone. «Sei una sorella per lui. Io non vorrei che Leen frequentasse uno come me».

China in avanti, con la testa pochi centimetri sopra la mia spalla, Elizabeth emette uno sbuffo. «Giusto. Dimenticavo che tu sei il terribile bad boy e io la brava ragazza che ti sta facendo commettere un'effrazione».

Rimane qualche secondo in silenzio mentre armeggio con la toppa arrugginita. All'ennesimo tentativo fallito, impreco piano. «Tra parentesi, non credo proprio che ti basteranno delle spille per forzarla!»

Le rivolgo un ghigno sfrontato. «Sfida accettata» ammicco, e torno a concentrarmi sul mio obiettivo. Nel voltarmi, però, barcollo sulle ginocchia per un secondo e devo poggiare una mano sulle doghe crepate del pavimento. «Non è che posso staccarci le rose a questi affari?»

«Non osare!» La sento picchiettarmi sulla schiena con fare giocoso. «Mi spieghi come funziona, esattamente?»

Aggrotto la fronte, inserendo di nuovo la spilla nel buco. «Se vuoi derubare qualcuno, sappi che questa cosa si può fare solo con porte molto vecchie. Per le altre, persino a me servirebbero gli strumenti giusti, ad esempio il mio grimaldello bulgaro, altrimenti sarebbe impossibile con delle forcine».

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