73. RICORDARE: AMICI

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La notte prima della vigilia di Natale, sono sdraiata nel letto a fissare le ombre sul soffitto. Con le mani incrociate sul petto, sto pregando qualsiasi divinità in ascolto di salvarmi dal supplizio che mi aspetta all'indomani: quel maledettissimo matrimonio.

Mi sono categoricamente rifiutata di pensarci in queste settimane, soprattutto dopo che l'inizio delle vacanze invernali mi ha lasciato un sacco di tempo libero per divertirmi. E, considerati tutti gli svaghi che offre la villa, anche senza uscire non è stato difficile distrarmi.

Ora però mi incombe davanti come uno spettro. Mi sembra quasi di vedere nel buio le sagome di ventiquattro lunghe ore che dovrò trascorrere tra abiti eleganti, falsi sorrisi e gente noiosa con la puzza sotto il naso.

No, non sto esagerando. Non è una metafora. Questa tortura durerà davvero un giorno intero. Il programma ufficiale delle nozze inizia alle otto di mattina –sveglia alle sei per noi, ovvio– e termina a tarda sera, quando verranno scoppiati i fuochi d'artificio.

Zeus, se ti avanza un fulmine, folgorami all'istante.

Mi tiro a sedere sul bordo del letto e lancio un'occhiata al vestito attaccato all'armadio, pronto per essere indossato. Lo stomaco mi si contrae. La stilista degli Hallander sostiene di averlo fatto apposta per me, ma deve aver preso male le misure perché è la cosa più scomoda che io abbia mai provato. Troppo stretto, troppo scollato, troppo sbrilluccicante... Lo odio.

Controllo che la gatta infernale non sia sul tappeto, infilo le scarpe e il giubbotto ed esco in terrazzo. L'aria gelida dell'inverno mi fa rabbrividire, ma il paesaggio è mozzafiato. Tutto è ricoperto da un manto di neve che risplende argenteo al chiarore della luna, nugoli di stringhe luminose simili a meteore pendono dalla quercia incappucciata di bianco e fili di lampade in ferro percorrono la recinzione della villa. Lo sfarfallio delle luci degli addobbi anima il giardino intero come migliaia di lucciole blu, verdi e rosse, ricordandomi perché amo questo periodo dell'anno.

Non esistono tenebre a Natale.

«Non riesci a dormire, piccola ficcanaso?»

Ed eccolo, proprio dove ero certa di trovarlo.

Nonostante la pietra sia ghiacciata, se ne sta disteso sulla balaustra accanto con la solita disinvoltura, le gambe allungate davanti a sé e la testa appoggiata al pilastro. Tanto per cambiare, indossa soltanto il nero: la felpa, la giacchetta sopra, persino i pantaloni. I suoi capelli, però, sono di un bellissimo biondo dorato che muoio dalla voglia di accarezzare.

«Non proprio. Sono perseguitata da incubi con tacchi a spillo e orli di pizzo» borbotto, stringendomi nel cappotto. Fa freddissimo e il cielo continua a piangere fiocchi candidi che danzano leggiadri nella notte. «E tu, che scusa hai?»

Klaus ridacchia, senza rispondere alla mia domanda; rimane semplicemente a fissarmi con un sorriso rilassato sul viso. Capisco che non ha nessuna intenzione di dirmi cosa turba il suo sonno, ma non ne ho bisogno. Dopo tutto quello che ha passato, sarebbe più strano se sognasse unicorni e arcobaleni.

«Quante persone credi che ci saranno?» chiedo nervosa.

«Alla cerimonia non tanti, solo gli amici intimi. Al ballo nel pomeriggio toccheremo gli ottocento invitati».

Per poco non mi sento male. Faccio una smorfia sgomenta, poi mi sporgo dal terrazzo e comincio a rimuginare. «Mmh, se mi butto prendendo bene la mira, i cespugli potrebbero nascondere il mio cadavere martoriato. Nessuno lo noterebbe...»

«Non saprei. Ric potrebbe sentire la mancanza della sua dama» commenta Klaus con una strana inflessione nella voce.

«Sul serio?» Inarco un sopracciglio. «Che c'è, sei geloso perché ho un cavaliere mentre tu verrai solo soletto?»

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