48. CUGINETTO

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Con uno sbuffo, raddrizzo il cuscino adagiato contro il muro e mi ci butto di nuovo sopra, stringendo il Nintendo tra le mani. Sul piccolo schermo rettangolare, un mostriciattolo verde e bianco sta sgommando sulla pista dopo essere stato sorpassato da un ometto baffuto in salopette blu –in altre parole: Yoshi e Mario.

«Non può essere!» Con la coda dell'occhio, vedo Jonas che fa avanti e indietro per la stanza, accompagnato da lievi spirali di nuvolette bianche. È la terza sigaretta che fuma in dieci minuti. «È assurdo! Mia madre non è... Impossibile! Ti sbagli!»

Faccio uno sbadiglio esausto e distendo le gambe in mezzo al cumulo di pupazzi che si ammassa sul fondo del letto. «Quanto durerà questa tua fase di negazione, cuginetto?» obietto in tono annoiato, continuando a giocare. «Faresti venire il mal di mare a un pesce».

Jonas si ferma e si volta verso di me, furioso. «Come diavolo fai a prenderla così?»

Faccio spallucce. «Ormai, posso anche scoprire che mio padre ha avuto una tormentata, e disgustosa, storia d'amore con Alizée o che la gatta degli Hallander è una spia russa mandata dalla Bratva. Tanto mentirmi è diventato peggio di una challenge su Tik Tok».

«I calcoli non tornano, Keeley!»

«Ah sì? Non sono brava in matematica». Digrigno i denti, colpendo con foga il materasso. «Argh, maledetto Bowser! Non mi meraviglio che tu abbia le corna, brutto imbro... EHI!»

Dopo avermi strappato il Nintendo, Jonas lo richiude e lo ripone sulla scrivania, invasa da libri evidenziati in vari colori e fogli pieni di appunti scritti in una pessima grafia. Infine, torna a guardarmi in un atteggiamento di sfida.

«Cugini da cinque secondi e già mi fai i dispetti?» replico, scuotendo la testa. «Iniziamo male».

Jonas assottiglia le palpebre con un'espressione truce. «Noi non siamo cugini».

«L'albero genealogico dice il contrario».

In seguito alla mia rivelazione, mi ha letteralmente trascinata via dal soggiorno per un gomito e sbattuto la porta dietro di noi. Con due letti singoli separati da un comodino, scaffali ricolmi di trofei di baseball e scatole di puzzle e un grosso armadio su cui è appeso un poster di Albert Einstein che fa la linguaccia, la sua camera non è spaziosa neanche la metà della mia, alla villa. Tuttavia, questo non gli ha impedito di cominciare a macinare passi in tutte le direzioni, farneticando tra sé e sé.

Non avendo altre foto di sua madre, non ha potuto che mostrarmi la stessa più volte, come se si aspettasse per magia un esito diverso. Ma non c'è nessun dubbio che la Céline Dubois ritratta in quell'immagine è identica alla zia Moira a cui lanciavo i corn flakes nei capelli, la mattina. O almeno, una sua versione ventenne... e senza cicatrice.

«Hai detto che la sorella di tuo padre è scappata di casa da ragazzina, giusto?» Jonas afferra la sedia girevole, vecchia e spellata, e ci si getta sopra, facendo stridere le rotelle sulle piastrelle porcellanate. Aspetta che io faccia un vago cenno per proseguire, tenendo il mento sulle punte delle dita intrecciate. «Non torna. Céline ha lasciato Sunset Hills a ventidue anni, più o meno, e comunque veniva da una famiglia ricca, non una di Baker Street come gli Storm».

«Però hanno un passato simile. Entrambe avevano problemi con i genitori, entrambe sono scomparse in circostanze sospette». Prendo una rivista da una mensola, tolgo la matita rosicchiata incastrata tra le pagine e la sfoglio distrattamente. Ci sono esercizi di logica di ogni tipo: sudoku, cruciverba, anagrammi, indovinelli matematici e così via. «Mia zia aveva una cicatrice sulla gola. Stando alla leggenda, Céline Dubois è stata...»

«Sgozzata dal fantasma di Michael Waylatt, nel suo chalet». La voce di Jonas è venata di seccata ironia. «Eppure, negli ultimi diciassette anni, ha mandato un sacco di lettere e cartoline dalla Germania a sua madre. Cos'è, un miracolo?»

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