42. AMORE FRATERNO

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P.O.V. KLAUS

«Hai una faccia da schifo, fratello» ridacchia Kal.

Con uno sbuffo, mi lascio cadere di peso sul divano e affondo il viso tra i cuscini di pizzo. Siamo tornati già da mezz'ora, ma ho avuto il tempo solo per lavarmi e farmi medicare il polso da Carol.
Finalmente, mi sono liberato dei vestiti fradici, sostituiti con uno spesso maglione di lana nero e una giacca di jeans altrettanto scura. Dalla manica sinistra sporgono le bende bianche che mi fasciano i tagli ancora pulsanti, scavati nella carne.

Nonostante il tepore che avvolge il soggiorno, animato dal fuoco scoppiettante che danza tra le fauci del camino, il gelo che si è insinuato tra le mie ossa continua a farmi rabbrividire. Stando al termometro, la mia temperatura rasenta i trentotto gradi e mezzo.

Non ricevendo risposta, Kal si allunga dal pouf su cui è appollaiato e mi dà un buffetto sulla nuca. A volte, è più insistente di Toby quando vuole costringermi a dargli il mio gelato o a comprargliene un altro, dopo che ha finito il suo.

«Smettila» farfuglio, scuotendo la testa per scacciare la sua mano. «Ho sonno».

«Ma se hai dormito per tutto il viaggio!» La voce di Keeley è intrisa di una sfumatura ironica. Tanto per cambiare. «Sia andata che ritorno. Ti stai trasformando in un bradipo, per caso?»

Mi ribalto sulla schiena e il mio cuore viene stretto dalla morsa di un sentimento senza nome. Keeley è stravaccata sulla poltrona davanti al ripiano con le preziose statuine di Capodimonte di Alizée. Le sfumature rosate del tramonto si riverberano sui suoi capelli blu, lucidi per la doccia recente. Le pietre d'ambra sul suo viso brillano come se fossero cosparse di polvere di stelle.
Anche con una semplice felpa -rigorosamente al contrario- e un paio di jeans sbiaditi, è talmente bella da togliermi il respiro.

Guardandola, vengo colpito da due dolorose consapevolezze, e non so quale sia peggio: che si è messa nel punto più lontano da me, o che sia anche quello più vicino a Simon.

So che è giusto così, che sono io a sbagliare, ma nel mio egoismo non posso evitare di pensare che darei qualsiasi cosa per avere altri cinque minuti da solo con lei.
Ho sprecato a litigare l'ultimo giorno che ho concesso a me stesso, prima di fare ciò che devo: starle lontano.

«Quando ha la febbre, Klaus diventa come un gatto. Dormirebbe anche su un ramo» commenta Eileen divertita.
Eppure, appena si volta verso di me, ogni traccia di ilarità sparisce e nel suo sguardo balena un lampo di rabbia. «E tu». Mi indica con fare minaccioso. «Dammi un buon motivo per non ucciderti subito».

Abbozzo un mezzo sorriso. «Perché sono fragile e malato?»

Mia sorella si accascia sullo schienale del divano, guardandomi torva. «Sono seria, idiota. Ci siamo preoccupati da morire».

Ha la stessa espressione che aveva da bambina, quando combinava qualche guaio e temeva di essere sgridata. I suoi occhi diventano grandi come palle da biliardo e scintillanti come due smeraldi.
In quelle occasioni, mi prendevo sempre la colpa. Avrei fatto qualsiasi cosa, se questo serviva a farla stare meglio.
Dopo anni, mi fa ancora lo stesso effetto. Un istinto di proteggerla che mi accompagnerà per sempre.

«Io non ero preoccupato». Kal prende una mela dal vassoio sul tavolino e un bagliore gli illumina le unghie. Oggi il suo look, a base di mascara e ombretto shimmer, è coronato da uno smalto fluo viola in tinta con la t-shirt. «La prossima volta che decidete di scappare di casa, però, portatemi con voi».

«Non credo si possa definire "scappare di casa", visto che siamo tornati di nostra volontà». Keeley distende le gambe sulla credenza in cui sono conservate le posate d'epoca. «Io non sono mancata a nessuno?»

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