60. LUX IN TENEBRIS ES

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Se esistesse una classifica dei peggiori risvegli della storia, il mio di quella mattina andrebbe a braccetto con quello di Harry Potter che deve sopportare le grida stridule di sua zia che picchia alla porta del minuscolo ripostiglio pieno di ragni in cui dorme.

In questo caso, la fine del mio sonno straordinariamente sereno viene sancita da una cacofonia di voci urlanti e di passi frenetici in corridoio, a cui si aggiungono gli schianti di oggetti pesanti che vengono spostati e il frastuono assordante di un trapano che mi perfora i timpani.

Mi rovescio sulla schiena, stropicciandomi gli occhi appannati. La luce del giorno mi investe, ogni raggio pungente come un ago sulla pelle. «Lo sapevo» sospiro debolmente. «Ho visto troppi porno per poter andare in Paradiso».

«Signorina Storm!»

Con un sussulto ruoto di scatto la testa e mi ritrovo un paio di piedi, infilati in calzini spaiati, a pochi centimetri dal mento.

Kal è sdraiato sulla sponda opposta del letto, con la schiena appoggiata ai cuscini impilati contro la testiera e le braccia muscolose incrociate dietro la nuca. Indossa una semplice maglietta rosa fluo e pantaloncini verdi che gli lasciano scoperte le gambe lisce, distese lungo il mio fianco.

Quando faccio una smorfia di disappunto, il suo ghigno dispettoso si allarga. «Le devo comunicare che la Madre Padrona che governa questa dimora, diretta discendente di Adolf Hitler e allieva di Gengis Khan nell'arte delle torture, ha dato ordine di scendere immediatamente. Se non...»

«Leva le tue zampacce puzzolenti» bofonchio, dandogli una gomitata.

Kal piega le ginocchia, ridacchiando. Acciambellata sulla sua pancia, Sparrow si profonde in uno sbadiglio che le fa dilatare il nasino scuro. «Dicevo» riprende in tono solenne. «Se non saremo pronti per la partenza entro le otto in punto, incorreremo nella sua ira funesta e non ci sarà consentito godere delle comodità offerte dalla limousine, come la televisione o, peggio ancora, gli spuntini nel frigobar. Pertanto, sei pregata di muovere le chiappe».

Risponde alla mia occhiataccia con un sorriso beffardo. Dopo essermi stiracchiata, mi trascino fuori dal caldo abbraccio delle coperte e metto le ciabatte pelose riposte in un angolo. Appena il mio sguardo viene attirato sul blocco da disegno sul comodino, una morsa di delusione mi serra il cuore così forte da sbriciolarlo.

Un origami a forma di cigno, sull'album di famiglia regalatomi da Ian. È tutto ciò che mi ha lasciato. Uno stupido pezzo di carta che vorrei ridurre a brandelli per la rabbia.

Ha dormito con me e se n'è andato senza dirmi nulla. Sa che non ci vedremo per i prossimi tre o quattro giorni e non si è neanche preso il disturbo di salutarmi. Mi sarebbe bastato un «Ehilà, ci vediamo presto» oppure «Divertiti nel paesino sperduto in mezzo al nulla».

Non mi sembra di pretendere troppo.

Prendo il telefono, apro il suo contatto su WhatsApp e gli invio un rapido messaggio. “Per tua informazione, sei un idiota”. Poi noto il biglietto con un angolo incastrato sotto l'abat-jour; sopra, la sua calligrafia precisa e minuziosa.

Gli scrivo di nuovo: “Grazie per il numero, ma resti un idiota”.

«Tu hai dei trucchi?» Le parole di Kal vengono quasi sovrastate dal rumore atroce di una sega elettrica, che adesso ha preso a duettare con il trapano.

Mi tappo le orecchie, infastidita. «Mi spieghi che cavolo sta succedendo? Perché la villa è diventata la nuova fucina di Mordor?»

«Stanno allestendo la base per la guerra, soldato!» risponde, eseguendo un saluto militare. «Ah no, scusa. È un matrimonio».

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