65. INCIDENTI PT.2

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La pioggia continua a martellare contro le finestre della luminosa sala d'attesa, le gocce che si rincorrono giù per il vetro come serpenti d'acqua attorcigliati l'uno con l'altro. Ogni tanto, un bagliore accecante squarcia la cortina di nubi nere e si rifrange sulle piastrelle bianche o sul pavimento di linoleum, seguito da un gorgoglio prolungato che riecheggia nella notte.

Dal mio arrivo alla villa, mi è successo spesso di sentirmi un'intrusa. Quando la cucciolata ha accolto il ritorno del padre, ad esempio, oppure durante i litigi dei loro genitori, o talvolta persino nelle serate passate a mangiare pizza e parlare di stupidaggini. Ma niente è paragonabile alla sensazione che sto provando adesso nel violare il dolore di una famiglia spezzata.

Perché davvero non esiste una parola più appropriata per descrivere gli Hallander al momento, se non questa: spezzati.

Liam è l'unico in piedi, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni e uno sguardo assente sul viso. Da più di un'ora sta osservando immobile il panorama offerto dalla vetrata che si affaccia al terrazzo coperto, rianimandosi solo per controllare il telefono con insolita frequenza per poi ripiombare nel suo stato di trance.

Su un divanetto di pelle, Eileen è accoccolata contro il petto del gemello e lo stringe in un abbraccio carico di bisogno mentre Simon le accarezza distrattamente la schiena, districandole i nodi dei ricci con le dita. Kal si è abbandonato per terra accanto a un tavolino con un vaso pieno di fiori bianchi, intento a sfogliare uno dei suoi fumetti. A giudicare dal modo in cui gira le pagine, scorrendo a malapena le vignette, non credo stia badando troppo alla lettura.

Toby, invece, sta riposando con la testa posata sulla spalla di Carol, così raggomitolato sulle sue gambe da sembrare ancora più piccolo di quanto sia in realtà. Lei è stata l'unica a riuscire a farlo smettere di piangere, cullandolo dolcemente fino a che non le si è addormentato in grembo; cosa che ha irritato non poco Jacqueline, che dalla sua poltrona ancora sta scoccando occhiate velenose alla donna.

E poi ci sono io che li guardo a uno a uno, in disparte, cercando di capire cosa dovrei provare.

Non sono affezionata ad Alizée e non nutro particolare simpatia per Ian, ma neanche per un secondo ho sperato che capitasse loro qualcosa di brutto. Perdere una madre non è molto meglio di non averne mai avuta una, e conosco la sensazione di dire addio al proprio padre. Nessuno lo meriterebbe, di sicuro non gli Hallander.

Per Edric, invece, è diverso.

Anche se non abbiamo trascorso molto tempo insieme, non posso negare che una parte di me ha cominciato a considerarlo un amico. Escluso Klaus, nessuno meglio di lui sa quanto sia logorante la paura di non essere accettati per quello che si è, o peggio ancora a non stare bene con noi stessi. Forse per questo, quando origliavamo la discussione tra i suoi genitori e sua nonna, entrambi abbiamo avvertito l'istinto di proteggerci a vicenda.

Un rumore secco infrange il silenzio, provocando un sussulto generale.

«Scusate» farfuglia Kal, mettendo via il giornalino che ha appena chiuso di scatto. Si tira su e, dopo essersi spolverato il retro dei pantaloncini, si incammina verso la porta.

Eileen si raddrizza. «Dove vai?»

«Alla macchinetta. Ho fame».

«Vuoi che ti accompagni, tesoro?» mormora Carol in tono ansioso, sistemando meglio il bambino in braccio.

Kal scuote il capo e sparisce dietro la porta.

Mi sollevo, faccio cenno a Simon di non preoccuparsi ed esco nel corridoio. Essendo tardi e trovandoci in un'ala riservata, l'ospedale – che sarebbe una clinica privata – è piuttosto tranquillo. In giro c'è solo qualche manciata di infermieri che vanno in tutte le direzioni e dottori in camice bianco che confabulano tra loro, quindi è piuttosto facile distinguere un ragazzo con una spirale di colori sgargianti sulla maglietta.

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