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Sono in aereo nel mio posto preferito: accanto al "finestrino". Purtroppo, accanto a me c'è Ethan, i nostri genitori hanno pensato (male) di farci stare insieme per approfondire la nostra amicizia inesistente.

Passate le due ore di volo, circa, scendiamo dall'aereo e ci dirigiamo verso l'uscita ognuno con i propri bagagli che siamo riusciti ad imbarcare con noi. L'aeroporto è immenso, c'è tantissima gente e vanno tutti di fretta. Si respira un'aria di ansia estenuante in questo posto.

«Di che avete parlato durante il volo?» mi chiede mio padre curioso. «Non abbiamo parlato.» rispondo disinteressata alla questione. «Tesoro, la famiglia Wilson è una famiglia bellissima, non devi avere paura del loro figlio.» mi rassicura. «Non ho paura di nessuno.» dico. «Semplicemente non voglio che diventi mio amico.» continuo severa. «E' un bel ragazzo, no?» mi chiede malizioso. «Papà!» lo ammonisco facendolo scoppiare a ridere.

Ci fermiamo nel bar dell'aeroporto per fare colazione, dato che siamo scesi di casa alle sette, e prendiamo dei pancakes e dei cappuccini che ci portano gentilmente al tavolo dopo pochissima attesa, stranamente.

Ethan mi prende in giro per le occhiaie che contornano i miei occhi e io lo ignoro per non rispondergli male davanti alle nostre famiglie. Ho dormito a malapena un'ora dopo la festa, quindi sono giustificate.
Non so lui come faccia a non averle.

«Taxi!» urla il Signor Wilson fermandone uno a caso. «Dovete prendere due taxi diversi, non riesco a farvi entrare tutti nella mia auto, oppure potreste fermare un taxi van.» ci informa desolato. «I ragazzi possono prendere un altro taxi, non vi dispiace, vero?» ci chiede la mamma di Ethan con tono dolce. «Va bene.» sorrido. «Ci vediamo in hotel.» dice Ethan meno felice di me.
Fermiamo un altro Taxi ed entriamo sedendoci distanti l'uno dall'altro. Alla guida c'è una donna piuttosto simpatica con un rossetto rosso accesso e ci spia dallo specchietto centrale, effettivamente ci ha preso per pazzi, ma pazienza, io non mi avvicino nemmeno di un centimetro a Mr. So tutto io. Da oggi potrei chiamarlo così, mi piace.

«Siete fidanzati?» ci chiede dopo un'attenta osservazione. «Ci hai osservati male.» dico acida. «Rossa a me non sfugge nulla, voi vi piacete ma siete troppo timidi.» sostiene sicura. «Mi chiamo Evie.» la correggo. «Ok, Evie. Ti piace? È un bel fusto!» dice in maniera simpatica. Rido sotto i baffi, al contrario di Ethan che mi guarda con aria vanitosa a causa del complimento della signora. «Ci odiamo.» risponde lui. «Odi et amo.» cita. «Sai che significa?» chiedo avvicinandomi al suo sedile, sporgendomi, per guardarla meglio. «Sì...» risponde insicura. «Non devi fare sempre l'intellettuale Scott.» sbuffa Ethan. «Non significa che l'odio è l'amore.» sottolineo quel verbo essere in rosso con la mente. «Odio e amo.» continuo. «Quindi, sì, noi ci odiamo e amiamo altre persone.» concludo la mia lezione di latino. «Scusami Signorina Evie...» ridacchia. «Ma è sempre così?» chiede girandosi verso Ethan in attesa che il semaforo diventi verde. «Sì, ecco perché la odio.» risponde lui ridacchiando.

Scendiamo dal taxi e non vediamo i nostri genitori. Ethan si offre di aiutarmi con la mia valigia azzurra e accetto volentieri la sua mano, così tiene in allenamento i suoi muscoli alle braccia.

«Entriamo?» chiede. «Ci avrebbero aspettato fuori.» dico sicura. «Oppure hanno fatto già il chek-in e ci aspettano nelle nostre rispettive stanze.» sostiene.
Ci avviciniamo alla reception, chiediamo delle nostre stanze e ci informano che il chek-in è già stato fatto ma che mancano i nostri documenti. Glieli porgiamo, li fotocopiano e ci lasciano andare nelle nostre stanze.
Prendiamo l'ascensore color oro, pigiamo il tasto 45 e dopo un po' siamo arrivati davanti alle nostre stanze: 2038 e 2040. Busso alla 2040, la mia e non mi apre nessuno, mentre quando Ethan smette di bussare sulla porta della stanza si ritrova la figura di mio padre davanti.

«Oh, entrate, c'è un problema.» dice preoccupato papà. «Successo qualcosa?» chiedo altrettanta preoccupata. «Tutto bene piccola Evie.» dice la mamma di Ethan accarezzandomi i capelli. «Hanno sbagliato le stanze e invece di darci una singola e due doppie ci hanno dato una tripla e una doppia.» continua con tono dolce. «E quindi? Ditelo e ce le cambiano.» rispondo ovvia. «Ci abbiamo provato, sono tutte occupate.» dice papà. «Ok, allora papà dormirà con noi, non fate i bambini.» dice Ethan in modo severo verso i genitori. «No.» risponde subito il padre. «C'è anche la mia compagna, con sua figlia, ha cinque anni e non può lasciarla da sola.» continua. «Che ci fa lei qui?» chiede arrabbiato il figlio. «Lavora a New York in questi mesi estivi e quindi l'ho invitata, per questo avevo chiesto la singola.» gli risponde mantenendo la calma. «Troviamo una soluzione invece di discutere.» s'impone mio padre.

La madre di Ethan va in reception per chiedere di risolvere questo problema insieme a mio padre, mentre noi rimaniamo in camera in attesa di un esito positivo per poi andare in giro per la città fino a questa sera che abbiamo la festa di addio.

Dopo venti minuti precisi, tornano da noi e vedo la mamma con un volto più sereno e con altre chiavi in mano, al contrario, mio padre è più teso di prima

«Risolto?» chiede il Signor Wilson. «Più o meno.» risponde papà facendomi roteare gli occhi.

La Signora Wilson ci spiega la situazione e non capisco molto fin quando non ricevo delucidazioni da parte di mio padre. «Abbiamo una tripla, due singole e una doppia al piano superiore a questo.» mi spiega. «Noi due nella doppia, giusto?» chiedo sperando in una risposta affermativa. «No, non mi sembra giusto Evie. Anche la signora Wilson vuole dormire con suo figlio.» spiega desolato. «Dormo io nella singola.» si propone Ethan. «Anche per me è ok.» rispondo a mia volta. «No cara, non stare da sola nella singola, siamo a New York...» dice premurosa. «Siamo a New York, in un hotel controllato, al cinquantesimo piano, non si fanno 50 piani per stuprarmi.» ridacchio mentre spiego il mio ragionamento abbastanza logico. «Meglio evitare.» dice Ethan guardando il padre con sguardo severo. «Ok e quindi? Come facciamo?» insisto. «Tu ed Ethan dormite nella doppia.» s'intromette il papà di Ethan felice.

Ok, ho capito, ci voglio accoppiare, ma si sono dimenticati che non siamo animali.

Mi arrendo, afferro le chiavi in contemporanea alla mia valigia e mi dirigo verso l'ascensore per andare al piano superiore mentre mio padre va a restituire le chiavi delle nostre ex stanze.

«Lo so cosa stai pensando: mio padre fa casini.» dice Ethan entrando nella nostra stanza. «E' solo una notte.» mi autoconvinco. 

INCASTRO (IM)PERFETTODove le storie prendono vita. Scoprilo ora