Capitolo 42 ⛵ Rivelazioni ⚓

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Can

«Ti va di parlare?»

Era trascorsa forse un'ora da quando ero rientrato ed avevo trovato Sanem rannicchiata sul divano. Un'ora che la stringevo fra le mie braccia e le accarezzavo i capelli. Un'ora che respiravo il suo odore che, diversamente dal solito, invece di farmi perdere la testa, mi dava vita. Un'ora che pensavo al piccolo Adil e a quanto avrei voluto, invece, un figlio da Sanem. Un'ora di pensieri così reali e assurdi. Un'ora a pensare perché il destino ce l'avesse con noi.

«Di cosa vuoi parlare? Di quanto siamo sfortunati?» rispose Sanem, restando inerme fra le mie braccia.

«Perché dici così? Risolveremo tutto» risposi deciso.

«Cosa risolveremo? Hai un figlio, Can» continuò Sanem con freddezza.

«Non è sicuro.»

«E' evidente. Perché Polen avrebbe dovuto mentire?»

«Perché dirmelo dopo tutti questi anni? Non ha senso.»

«E invece ce l'ha.»

Sembrava che Sanem volesse convincermi ad accettare una realtà di cui dubitavo.

«In ogni caso non ci distruggerà di nuovo» dissi.
Presi il suo viso tra le mani e la costrinsi a guardarmi. Sprofondai i miei occhi nei suoi. «Te lo prometto. Nessuno ci rovinerà ancora la vita. Nessuno potrà separarci. Tu sei dentro di me, Sanem. Sei l'aria che respiro.»

Poggiai la fronte contro la sua, avrei voluto catturare i suoi pensieri e distruggere quelli negativi.

«Voglio andare a letto, sono molto stanca. Scusami!» esclamò, prima di alzarsi dal divano e allontanarsi da me.

Perché avevo l'impressione che ce l'avesse con me? Che colpe avevo io? Potevo capire quanto questa novità la sconvolgesse, ma nemmeno per me era facile accettarla. Piuttosto, speravo fosse tutta una messa in scena di Polen. Polen! Dovevo assolutamente parlare con lei e capire perché mi aveva tenuto nascosto qualcosa di così importante. La mia mente vagava alla ricerca di risposte, senza però trovarne.

Presi il telefono e composi il numero di Emre. Avevo bisogno di sfogarmi con qualcuno. Rimanemmo in linea per un bel po' di tempo, gli raccontai tutto.

«Quella che più mi preoccupa è Sanem. Ho paura che si senta messa da parte, non so come spiegarti.»

«Beh, è stata una batosta anche per lei, scoprire che l'uomo che ama ha un figlio.»

«Se così fosse, io comunque non la lascerei, non cambierebbe le cose tra di noi, per me lei è tutto, di certo non potrebbe passare in secondo piano» ammisi frustrato.

«E' questo che temi?»

«Già!»

«Dalle tempo, Can. Capirà che il tuo amore per lei è più forte di qualsiasi cosa e nessuno potrà frapporsi tra di voi.»

«Lo spero, Emre!» dissi sospirando.

Dopo aver chiuso la telefonata, andai dritto in camera da letto. Sanem era rannicchiata sul fianco destro, ancora sveglia ma con lo sguardo perso nel vuoto. Mi cambiai per la notte e mi distesi anch'io su un fianco, con una mano a reggermi la testa, portandomi dietro di lei. Non capivo se la mia presenza le facesse piacere, non sapevo se toccarla, accarezzarla. Rimasi immobile alcuni secondi, sperando che almeno si voltasse verso me, ma non si mosse. Azzardai, sperando che non mi respingesse, e le circondai il busto con un braccio. Sporsi leggermente il mio volto oltre la sua testa e le spostati i capelli che le erano ricaduti sul viso, cercai di intercettare il suo sguardo che continuava ad essere perso. Le accarezzai dolcemente la guancia col dorso delle dita. Il suo respiro era regolare e il suo corpo aveva smesso di tremare. Continuava a non muoversi, ma nemmeno a respingermi. Ed io continuai a sfiorarle il viso e i capelli finché col braccio destro non avvolse il mio rimasto incessante a stringerla. Adagiai il mio corpo di spalle al suo, incastrando il mio petto alla sua schiena, avvicinando il mio naso tra il suo orecchio e la sua nuca respirando il suo profumo. Avevo bisogno di lei, così come lei aveva bisogno di me, ne ero certo.

Il viaggio di Can e SanemDove le storie prendono vita. Scoprilo ora