Can
Fu un attimo. Vidi Sanem fuggire via. La rincorsi ma fu più veloce di me. La vidi salire nel taxi e partire. Battei la mano sul finestrino ma l'auto partì senza aspettare.
«NO, NO, NO, NOOO» urlai disperato, passandomi le mani fra i capelli.
Sanem non doveva sapere così di quel pomeriggio, gliene avrei parlato quella sera, una volta rientrati a casa, con calma, cercando di spiegarle com'erano andate le cose. E invece Polen aveva rovinato tutto.
Tornai indietro con gli occhi che bruciavano di rabbia, ero furioso, sconvolto.
«Cosa ti è saltato in mente, eh? Potevi stare zitta, Polen. Io non permetterò che tu distrugga la mia vita e quella di Sanem. Devi starne fuori. Lo capisci?» le urlai contro, lasciandola spiazzata.
«Can, non volevo, credevo che lei già lo sapesse» si giustificò con le lacrime agli occhi.
«Cosa, cosa? Cosa credi di sapere, tu? Sai sempre tutto, sai sempre dove sono, dove si trova Sanem, ci hai seguiti fino a New York e non ci lasci in pace» continuavo a gridare.
Non m'importava della gente che passava, che si voltava a guardare. Nessuno conosceva il turco, per cui mi sentivo libero di dire qualsiasi cosa.
«Esci dalle nostre vite una volta per tutte, Polen» le dissi con fare quasi minaccioso.
«Ma, Can, non puoi chiedermi questo. Cosa dirò ad Adil quando mi chiederà di suo padre?»
«Non lo so, inventa quello che vuoi, ma io con te non voglio più avere nulla a che fare» risposi di getto senza pensare che mio figlio, così, sarebbe cresciuto senza un padre.
«Sei ingiusto, Can. Adil non lo merita. Hai visto oggi come ti stringeva la mano. Non vorrai mica abbandonarlo?»
Mi poggiai col braccio all'albero e non mi resi conto di sfregare sulla ferita, ancora non completamente risanata, fatta di recente proprio allo stesso modo. Sentii il braccio bruciare e mi scostai.
«Stai sanguinando» disse Polen, avvicinandosi.
«Non mi toccare.» La bloccai, ritraendomi prima che la sua mano mi sfiorasse.
«Ascolta, Can, forse è meglio che tu ora raggiunga Sanem. Noi ne riparleremo con calma» disse Polen, ricomponendosi.
Non risposi. Di certo non potevo cacciarla via ancora. Non potevo abbandonare quel bambino se davvero era mio figlio. In qualche modo dovevo prendermi le mie responsabilità, ma non era quello il momento di discuterne.
«Ti chiamerò io» dissi. «Tu non azzardarti a farlo. Siamo intesi?» aggiunsi, puntandole un dito contro.
«D'accordo, Can. Aspetto che sia tu a chiamarmi» rispose placidamente.
Senza aggiungere altro me ne andai. Fermai un taxi per ritornare a casa. Durante il tragitto pensai a Sanem, a come doveva essersi sentita nell'apprendere che quel pomeriggio non ero stato da solo a Central Park.
"Spero tu possa credermi, Sanem!" pensai, tormentandomi continuamente con le mani tra i capelli.Aprii la porta di casa dando delle mandate, segno che Sanem non era tornata. Entrai e presi immediatamente il cellulare per chiamarla ma risultava spento. Pensai che aveva bisogno di distrarsi, di pensare, di stare sola. Attesi un'ora, sperando che rientrasse. Provai a richiamarla ma era ancora irraggiungibile. Iniziai a preoccuparmi. Composi il numero di Gustav. Non rispose subito, ma poco prima che riattaccassi sentii la sua voce.
«Can!»
«Gustav, ho bisogno di sapere se Sanem è con te» dissi preoccupato.
«Sanem?» chiese.
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Il viaggio di Can e Sanem
FanfictionCan e Sanem si sono ricongiunti e hanno deciso di intraprendere un viaggio intorno al mondo per ritrovare se stessi e l'anno perduto lontani l'uno dall'altra. Ho provato ad immaginare quel viaggio in barca se l'incidente non fosse avvenuto. Vi augur...