Capitolo 43 ⛵ Adil ⚓

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Sanem

Non riuscivo a concentrarmi, Gustav mi richiamava di continuo, ero assente, con la testa altrove. Avremo fatto una piccola riunione con tutta la squadra per decidere il finale del progetto.

«Sanem, ho bisogno di averti lucida, ti prego!» m'implorò Gustav.

Gli avevo raccontato tutto, ormai eravamo diventati molto amici ed entrambi ci confidavamo qualsiasi cosa. Nei giorni precedenti gli avevo parlato di Polen e di quanto era successo. Avere lui al mio fianco, quando Can non c'era, mi rincuorava, mi distraeva.

«Vado a prendere qualcosa al bar» dissi, alzandomi.

«Brava, così ti ricarichi» acconsentì il mio amico.

Osservai il telefono. Nessun messaggio o chiamata da parte di Can, anche se erano passati solo una ventina di minuti da quando l'avevo lasciato nelle grinfie della sua ex. Chissà cosa si sarebbero detti!

Il sole brillava alto nel cielo, faceva caldo. Sfilai la giacca che avevo sopra ad una semplice maglietta a mezze maniche e mi avviai verso la caffetteria. Fui sorpresa nel vedere Can e Polen, col piccolo Adil, seduti proprio in quel locale. Rimasi immobile cercando di ascoltare ciò che quella donna gli stava raccontando. Riuscii ad afferrare qualche parola finché vidi la mano di Polen posarsi sul braccio di Can, che non si ritrasse. Il mio cuore perse dei battiti, l'impulso di avvicinarmi e fare una scenata era forte ma c'era di mezzo un bambino. I miei occhi erano fissi su di loro e improvvisamente incontrarono quelli dell'uomo che amavo. Erano spenti ed angosciati come i miei. Non riuscii a sostenerli e scappai via, ritornando a passo svelto alla casa editrice, impedendo a Can di raggiungermi nel caso l'avesse fatto.
Salii velocemente le scale e mi rifugiai nel bagno. Per fortuna non c'era nessuno e mi lasciai scivolare sul pavimento mentre il mio telefono prese a squillare. Ero certa che fosse Can ma non avevo voglia di rispondere. Con mio stupore non versai nemmeno una lacrima, ma un nodo alla gola m'impediva di respirare. Spensi il telefono in automatico senza nemmeno accertarmi di chi mi stesse realmente chiamando. Mi lavai il viso e tornai da Gustav. I miei colleghi erano pronti per la riunione e, nonostante dentro di me ci fosse un terremoto, mi dedicai al progetto con tutta me stessa.

«Sanem, vieni a pranzo con noi?» mi chiese Gustav, accingendosi a raggiungere gli altri.

Non mi ero dimenticata dell'appuntamento con Can, ma la scena di quella mattina era tornata prepotentemente nella mia testa.

«Preferirei restare qui, non ho fame» risposi, lasciandomi cadere pesantemente sulla sedia.

«Ma devi mangiare, non puoi rimanere digiuna» insisté Gustav.

Feci spallucce. Volevo starmene da sola, in verità.
In ufficio rimanemmo in pochi, erano tutti a pranzo. Decisi di accendere il telefono e chiamare Leyla. Trovai diversi messaggi di chiamate perse da parte di Can e un unico messaggio dove mi aveva scritto: "Ti prego, appena puoi chiamami. Ti amo... non dimenticarlo!"

Mi sentii delusa da me stessa, sapevo che Can non meritava il mio silenzio ma ero arrabbiata. Una lacrima scese sulla mia guancia e cercai di nascondere il mio viso ai pochi presenti in ufficio. Mi voltai verso la parete. Mi appoggiai alla spalliera della sedia lasciando andare la mia testa.

«Sanem!» La sua voce alle mie spalle mi scosse.

Mi voltai e mi ritrovai occhi negli occhi con Can.

«Come sei entrato?» chiesi meravigliata.

«Ho incontrato il signor Dubelak che mi ha permesso di salire e Gustav mi ha detto che restavi qui» disse, continuando a fissarmi. «Ho provato a chiamarti tutta la mattina. Per favore, Sanem, parliamo. Vieni a pranzo con me» mi chiese poi, quasi con tono implorante, sedendosi sul bordo della scrivania.

Il viaggio di Can e SanemDove le storie prendono vita. Scoprilo ora