Capitolo 40 ⛵ Polen ⚓

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Can

Accompagnammo Leyla ed Emre all'aeroporto. Vidi sul viso di Sanem quel velo di tristezza che è solitamente preludio di quelle partenze che si vorrebbero ritardare il più possibile. Anche mia cognata non era felice di lasciare sua sorella, e non che io ed Emre lo fossimo ma nascondevamo meglio il nostro accoramento. Li salutammo con abbracci dai quali non ci saremmo più voluti staccare, finché dagli altoparlanti annunciarono il loro volo. Ci saremmo rivisti, probabilmente, dopo un anno, il viaggio con l'amore della mia vita sarebbe continuato dopo l'esperienza di New York. Non mancava molto al termine del contratto stipulato con la casa editrice e non vedevo l'ora di riportarla a bordo della nostra barca per proseguire quel viaggio tanto desiderato e soprattutto condurla alle Galapagos per realizzare il suo sogno.
Eravamo in procinto di salire su un taxi che ci avrebbe portati direttamente al lavoro, avevamo chiesto un paio d'ore di permesso, quando da lontano ebbi l'impressione di vedere un viso conosciuto. Quella figura alta e slanciata, quel modo di vestire sempre in maniera elegante, la lunga chioma bionda non potevano che appartenere a Polen. Cosa ci faceva a New York? "Ma certo," pensai, "avrà raggiunto suo fratello".
Cercai di evitare che Sanem la vedesse, affrettandomi a farla salire nel taxi dove mi accomodai anch'io subito dopo. Per fortuna era impegnata a messaggiare con i suoi genitori che avevano atteso l'imbarco, probabilmente li stava rassicurando. Il taxi passò poco distante da colei che una volta era stata la mia fidanzata, per quanto cercassi di non voltarmi, riuscii ad osservare con la coda dell'occhio quella figura impettita che trascinava probabilmente un trolley, ma solo dopo averla superata mi resi conto che per mano aveva un bambino. Restai qualche istante perplesso, chiedendomi chi fosse. Mah, in fondo non m'importava! Sperai solo che le nostre strade non s'incrociassero ancora, ma con Yiğit alla casa editrice la presenza di Polen non mi faceva presagire nulla di buono.

La settimana trascorse senza scomode incursioni, Yiğit anche si vedeva poco. Sanem fu impegnata con due eventi in alcune librerie della città, c'era ancora gente che voleva conoscere la scrittrice del romanzo che aveva toccato il cuore del mondo intero. Io, ovviamente, l'accompagnavo, facevo parte degli eventi, diciamo così, ero la sorpresa finale ad ogni incontro, l'Albatros ritornato dalla sua Fenice. Il posto da traduttore era sempre di Gustav, io subentravo solo alla fine accolto dal meraviglioso e dolcissimo sorriso della donna che avrei scelto sempre come compagna della mia vita.

E fu proprio in occasione del secondo evento della settimana che Polen si palesò. Seduto come al solito in prima fila, osservavo Sanem. L'emozione che l'accompagnava ogni volta aveva lasciato, quel giorno, il posto ad un'agitazione che cercava di camuffare. Con lo sguardo sembrava volermi parlare. Non capii cosa le prendesse. Ma dopo soli cinque minuti dall'inizio della presentazione, fui invitato a sedermi di già accanto a lei. La sua mano, leggermente tremante, strinse la mia fortemente, mentre i suoi occhi, in uno sguardo che mi sembrò di sfida, percorsero la platea fino ad un punto ben preciso. Seguii quella traiettoria, accorgendomi della presenza di Polen seduta al centro dell'ampia sala con un sorriso enigmatico dipinto sul volto. Non era da lei, per quanto in passato avesse cercato di riavvicinarsi a me, aveva però sempre agito pressata da mia madre, arrendendosi davanti all'evidenza che Sanem era la donna che volevo. Quel sorriso, però, m'incusse timore, percepii una strana sensazione che mi lasciò stranamente impietrito.
Strinsi la mano di Sanem per infonderle calma, sembrò rilassarsi con me al suo fianco. La platea dei lettori la travolse di domande, come al solito, alle quali rispose senza esitazioni nonostante quella presenza indesiderata.
Il sorriso astruso di Polen sembrò scomparire durante la presentazione per ritornare ad illuminare, con un velo di inquietudine, il suo volto solo verso la fine, quando ad una delle più attese domande Sanem rispose: «Sì, è lui il mio Albatros ed è tornato per restare. Nessuno potrà più dividere le nostre vite, i nostri cuori. Il nostro amore è radicato nelle nostre anime, è più forte di una catena, niente potrà scalfirlo.»
Qualcuno si commosse, ma fra gli applausi e parole di apprezzamento, quel sorriso enigmatico non mi sfuggì. Sentivo che sarebbe presto scoppiato un temporale.

Il viaggio di Can e SanemDove le storie prendono vita. Scoprilo ora