Capitolo 32 ⛵ Un nuovo lavoro ⚓

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Sanem

L'incontro con i lettori fu emozionante più di quanto mi aspettassi, perché per la prima volta a leggere alcuni brani del libro fu Can, il mio Albatros. Anche se in inglese non ci capivo nulla, seguii ogni parola che usciva dalla sua bocca. Fu come ascoltare una melodia, mi beavo del suono della sua voce mentre io declamavo in turco, sussurrando le stesse parole che lui leggeva. Fu un'emozione che fece vibrare le corde della mia anima.

Durante la cena, poi, il signor Dubelak propose a Can di lavorare per la casa editrice. Un'emozione dietro l'altra. Sapere che avremmo lavorato di nuovo insieme, o quanto meno vicini, mi riempì il cuore di gioia.

Tornati a casa, Can non mi diede nemmeno il tempo di chiudere la porta. Mi ritrovai spalle al muro con la sua bocca che impazziva sulla mia, le sue mani che correvano frementi sul mio corpo. Mi ritrovai in un istante solo con addosso la biancheria, quando i nostri telefoni presero a squillare insistentemente. Sapevo che se non avessimo risposto avrebbero continuato a rompere quell'idillio di amore e passione che ci aveva travolti.
Ci ricomponemmo in fretta infilando soltanto le camicie, notando che non erano telefonate ma videochiamate. Il mio cellulare smise, erano i miei genitori, li avrei richiamati dopo, mentre Can rispose ad Emre. Mi avvicinai a lui e dall'altro lato vidi pure Leyla.

«Indovinate! Siamo a New York.»
La voce di mia sorella rimbombò per la stanza.

Io e Can balzammo dal divano.
«COSA???» Eravamo increduli.

«Non siete contenti?» esclamò mio cognato col suo largo sorriso.

«Do-dove siete?» balbettai, strappando il telefono dalle mani di Can.

«Credo nei pressi di casa vostra» rispose Leyla.

«Come sarebbe, casa nostra?» intervenne Can.

«Fratello, sembrate sconvolti. Non è che abbiamo interrotto qualcosa?» E una sonora risata partì all'altro lato del display.

«Emre, cosa ti viene in mente?» disse prontamente Can ma con un sorriso a fior di labbra.

Gli diedi una gomitata.

«E' vero, sorellina, sembra quasi che vi siate rivestiti in fretta» disse Leyla e, senza alzare la voce, a fior di labbra cercava di dirmi qualcosa gesticolando all'altezza del petto.

«Leyla, non ti capisco» esclamai, allontanandomi da sola e notando che lei faceva lo stesso.

«Sanem, hai la camicetta abbottonata male» riuscì a dire mia sorella a voce bassa ma in modo che la sentissi.

A quelle parole sgranai gli occhi ed emisi un sospiro portandomi la mano alla bocca. I miei occhi si diressero su Can e notai che anche lui, nella fretta, aveva abbottonato male la camicia. Gli feci segno di aggiustarsi, mi agitavo e lui non capiva. Misi una mano davanti al microfono del telefono e gli sussurrai di richiudersi bene la camicia. Leyla ed Emre continuavano a ridere a crepapelle mentre io ormai ero diventata più rossa di un peperone. La vergogna aveva superato di gran lunga quella che ancora provavo, a volte, quando ero nuda davanti a Can. Gli passai il cellulare e mi ricomposi, rendendomi conto che uno dei bottoni era completamente saltato. Mi sedetti sul divano e prendendo un cuscino me lo portai al petto stringendolo a me.

«Scusateci, ragazzi, ma ci stavamo preparando per uscire» mentì Can.

«Sì, sì, certo» rise ancora Emre.

«Dopo ti ammazzo» sussurrai a Can, senza però degnarlo di uno sguardo, inclinando la testa e provando a sorridere come se nulla fosse successo.

«Comunque, stavamo scherzando» intervenne Leyla. «Volevamo farvi una sorpresa la prossima settimana ma ci è impossibile venire. Mackinnon ci ha proposto una nuova campagna e ci ha bloccati.»

Il viaggio di Can e SanemDove le storie prendono vita. Scoprilo ora