Capitolo 1 ⛵ La partenza ⚓

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Sanem

Era mattino presto, l'aria fresca e salmastra mi entrò nelle narici. Aprii gli occhi. Nel giardino a riva di mare l'amaca ci cullava dolcemente. Era stata la nostra ultima notte sulla terraferma e Can aveva voluto che fosse speciale. Cuscini colorati, lanterne e candele profumate circondavano l'amaca sospesa tra gli alberi e sulla quale svolazzava una sottile tenda bianca. Saremmo salpati quella mattina per il nostro viaggio intorno al mondo.
Osservai il suo volto. Quante volte, in quegli interminabili mesi, avevo desiderato addormentarmi tra le sue braccia, nonostante la delusione, la rabbia, l'amarezza che aveva lasciato dentro me andandosene via, lontano, senza lasciare traccia di sé. Eppure, il mio cuore non aveva mai smesso di battere per lui, aveva fatto a pugni con la mia mente che cercava in tutti i modi di non pensarlo, di eludere i ricordi che non volevano andar via. Di giorno cercavo di distrarmi, ogni cosa, anche inutile che fosse, mi serviva a tenere la mente impegnata e, spesso, ci riuscivo. Ma la sera, quando il silenzio avvolgeva l'aria, ovunque mi trovassi, il mio pensiero fuggiva lontano, solcava le onde del mare, si perdeva tra le stelle di un cielo spaventosamente infinito e mi chiedevo se chissà anche lui, in quello stesso momento, avesse lo sguardo perso tra miriadi di stelle in cerca del punto fisso nel quale stavo puntando i miei occhi. Sapevo che era da qualche parte in mare: avevo sentito Emre dire a mia sorella che Can gli aveva scritto un messaggio nel quale spiegava che era in partenza per una nuova rotta con la sua barca. Non che Leyla fosse interessata a sapere come stesse o dove fosse Can, a causa della sofferenza che mi aveva provocato il suo addio, ma l'arrivo di un messaggio sul cellulare di suo marito l'aveva portata a chiedergli chi fosse. E da quando avevo capito che lui era per mare, ogni sera mi dirigevo al molo vicino casa, sedevo coi piedi penzoloni dal pontile, prendevo la pastiglia che avrebbe dovuto aiutarmi a "dimenticare" e a stare meglio. Poi, nel flacone vuoto, inserivo un bigliettino con un pensiero inevitabilmente rivolto a lui: frasi solitamente intrise di rabbia e amarezza, quello che restava di me. Lanciavo in acqua il flacone e speravo che quei messaggi in bottiglia, fluttuando tra le onde, arrivassero a lui affinché li leggesse e capisse tutto il male che mi aveva fatto abbandonandomi.
Mi perdevo poi con lo sguardo oltre l'orizzonte illuminato dalla luna, nel suono delle onde, e alzando gli occhi al cielo puntavo ad una stella con una tale intensità che quasi credevo di percepire il suo sguardo riflettersi nella stessa stella. Ma era solo ciò che il mio cuore, in quel momento, avrebbe desiderato.

🌟

Can

Aprii gli occhi e incrociai il suo sguardo, sembrava smarrito, pensieroso, i suoi occhi erano vagamente lucidi.

«Buongiorno» pronunciarono le mie labbra.

Dormire accanto a lei, alla mia Sanem, tenerla finalmente stretta fra le mie braccia, svegliarmi ed accorgermi che non era più solo un sogno, era quanto di più bello potessi desiderare. Finalmente! 
Il suo sguardo si perse per alcuni istanti, come se volesse dirmi qualcosa ma non sapeva come farlo. Finché la sua voce ruppe il silenzio.

«Can,» pronunciò il mio nome con una vocina debole ma decisa, «non arrabbiarti ma... non possiamo partire così…»

Capii immediatamente cosa intendesse.
Eravamo stati a casa dei suoi genitori, il giorno prima, e loro non avevano preso bene il nostro riavvicinamento. Suo padre si era perfino sentito male. Sua madre, che sempre mi aveva trattato come un figlio, a malapena mi aveva rivolto uno sguardo pieno di rancore. Non avrebbero voluto che Sanem si riavvicinasse a me, non in quel modo perlomeno. Avevano accettato, seppur con qualche difficoltà, la mia presenza alla tenuta, dove la loro adorata figlia si era voluta trasferire in seguito al ricovero in ospedale, a causa mia. Lì era riuscita a ritrovare un po' di pace e serenità. 
E ora, non solo ero riapparso nella vita di Sanem, ma ne facevo di nuovo completamente parte.
Ci eravamo presentati a casa loro all'improvviso, tenendoci per mano. Sanem aveva un sorriso che le illuminava il viso, già da un po' si erano accorti del suo cambiamento, esattamente da quando ero tornato. Avevamo annunciato di aver fatto pace e che saremmo partiti per fare il giro del mondo sulla nostra barca. Ma quel sorriso, davanti agli sguardi attoniti e risentiti dei genitori, si era spento. Lei aveva raggiunto in camera suo padre che si era sentito male, mentre io avevo cercato un confronto con sua madre, la quale mi aveva detto solo che loro non avrebbero mai dimenticato il dolore che aveva provato Sanem, guardandomi con occhi così tristi e pieni di paura, paura che l'avrei fatta soffrire di nuovo. Avrebbe distrutto lei stessa, con le sue mani, chiunque avesse spezzato ancora la sua anima, la sua bambina.
Prima di andare via, avevo accarezzato il viso dolcissimo ma triste della mia Sanem.

Il viaggio di Can e SanemDove le storie prendono vita. Scoprilo ora