Capitolo 15 ⛵ L'odalisca ⚓

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Sanem

La tempesta che ci aveva sorpresi all'improvviso non era durata più di un paio d'ore. Era stata passeggera ma non innocua. Io mi ero ferita alla testa, seppur lievemente, e questo aveva comportato che non dormissi per alcune ore. Can, invece, si era preso un raffreddore per essere rimasto troppo tempo sotto la pioggia. La notte fu insonne per entrambi. Io cercavo di non addormentarmi, nonostante il colpo preso non fosse nulla di grave, non accusavo mal di testa ma si formò solo un leggero rigonfiamento sulla fronte, cercai comunque di restare sveglia il più a lungo possibile, provavo a scrivere sul taccuino, a salire sopra coperta e a respirare l'aria fresca della notte. Mandavo dei messaggi a CeyCey, a mia madre, a Leyla, ma senza allarmarli. Tornavo a letto dove Can mi dava a parlare, lottando con il sonno, ma poi la stanchezza e la spossatezza per il raffreddore prendevano il sopravvento e si addormentava. Così riprendevo il telefono e attendevo che qualcuno rispondesse. La linea non era costante per cui i messaggi arrivavano in ritardo. A causa dell'ora, l'unico che continuava a scrivermi era CeyCey, non riusciva a dormire nemmeno lui. Gli scrissi che anch'io avevo l'insonnia...

C. "Vorrei tanto sentire la tua voce, amica mia", mi scrisse e lessi tra le righe la sua tristezza.

S. "Ti prometto che appena attraccheremo ti chiamo. Cosa succede CeyCey?"
Immaginavo quale fosse il motivo ma volevo che si sfogasse, anche se per messaggi non era lo stesso.

C. "Ayhan..." rispose.

S. "So che è andata via. Perché?"

C. "Credevo che restasse"

S. "Perché non glielo hai chiesto?"

C. "Non ho avuto il coraggio. Sono un codardo e l'ho persa di nuovo"

S. "Scrivile"

C. "A cosa servirebbe ormai?!"

S. "CeyCey, se ci tieni fa' che torni. O te ne pentirai per tutta la vita"

C. "Vedrò..."

Avrei voluto urlargli che era stato uno stupido ma, a parte che non potevo, mi faceva troppa tenerezza. Era un ragazzo fragile, attanagliato dalla fobia dei segreti, dalla paura costante di essere licenziato. Diventava iperattivo e parlava a vanvera quando era super agitato. Ma era timido e dolce e se non fosse stato per lui, per il suo modo di essere allegro e divertente, i miei giorni di depressione non avrebbero avuto dei momenti di sollievo. Aveva cercato in tutti i modi possibili di farmi sorridere, di tirarmi fuori da quell'incubo. Era l'unica persona di cui riuscivo a tollerarne sempre la presenza, gli altri avevano costantemente un'aria mesta e non lo sopportavo. CeyCey invece riusciva a scuotermi, anche se dopo tornavo ad avvolgermi nella mia tristezza. A volte, quando non volevo mangiare, che poi la mia inappetenza era quasi costante, tentava di imboccarmi e per farmi ridere mi portava il cucchiaio al naso. Il cibo mi cadeva addosso, lui prendeva un tovagliolo e nel pulirmi insisteva così tanto che iniziavamo a lottare con le mani, come a volerci picchiare. Sapevo che lo faceva di proposito e non si fermava finché non reagivo. Era una ventata d'aria fresca, anche se dentro di me desideravo morire.

Mi addormentai col telefono in mano, non riuscivo più a tenere gli occhi aperti.
La mattina successiva, un caldo e forte raggio di sole invase la cabina. Can non era a letto e mi resi conto che la barca era in movimento. Uscii fuori e mi avvicinai a lui che era in piedi davanti al timone.

«Buongiorno, mio dolce tesoro» lo salutai, stiracchiandomi ancora un po'.

«Buongiorno, dormigliona» rispose lui con un largo sorriso.

Il viaggio di Can e SanemDove le storie prendono vita. Scoprilo ora