42. Funerale (pt.1)

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Una settimana dopo

Hermione inspirò l'ultima volta quell'aria malsana e malata che sapeva di ospedale. Era stata una settimana talmente stancante per lei che faticava a tenere gli occhi aperti.

L'avevano sottoposta a interminabili cure per guarirla. Iniezioni, prelievi e diete ferree erano solo le più leggere. Ma ora era guarita. Insomma, più o meno: il dottor Medlock le aveva prescritto uno strano medicinale da ingerire una volta al mese per rimanere sicuri.

Erano enormi pillole verdi dal sapore a dir poco nauseabondo, che nemmeno un Troll sarebbe riuscito a mandare giù senza lamentarsi. Ma pur di rimanere in salute (o in vita) Hermione le avrebbe anche prese tutti i giorni.

E finalmente ora se ne stava andando, era stata dimessa. Glielo avevano annunciato la mattina precedente, prima di farle le ultime iniezioni necessarie, e prima di prelevarle una quantità di sangue da far girar la testa.

Prese il suo zaino, nel quale c'erano solo uno spazzolino, un dentifricio e la sua bacchetta, e sorrise debolmente pensando che sì, era davvero tutto finito.

Lasciò la sua stanza sentendosi finalmente libera, e non più intrappolata in due lenzuola con il logo del San Mungo. Sarebbe finalmente tornata a Hogwarts, la sua casa.

- Hermione, allora arrivederci - la salutò malinconico il Signor Verny quando la vide uscire. Hermione sentì un moto di tristezza avvolgerla, perché quell'uomo era stato l'unico volto amico in quella distesa di letti e di malati.

- Mi mancherai, ci vediamo presto - disse abbracciandolo.

- In realtà spero di non vederti più qui! - scherzò l'uomo ricambiando la stretta. Sorrise. - Stammi bene, Signorina Granger.

Hermione lo salutò con un ultimo cenno del capo prima di voltargli le spalle e imboccare l'ultimo corridoio che la divideva dall'uscita. Il pomeriggio prima Fleur le aveva spedito un gufo avvisandola che sarebbe andata lei a prenderla. 

E infatti, una volta fuori, Hermione la adocchiò subito: Fleur non passava decisamente inosservata, con i suoi capelli lunghi, lisci e biondissimi legati in uno chignon perfettamente ordinato; indossava un elegantissimo tailleur nero abbinato a un paio di scarpe col tacco dello stesso colore; portava appoggiati sul naso un paio di occhiali da sole che solo a guardarli si capiva costassero decisamente tanto.

Ma il pezzo forte era ciò a cui era elegantemente appoggiata: una macchinona babbana nuova di zecca ed estremamente di lusso. Azzurra.

Hermione le si avvicinò sorridendo, e quando Fleur l'adocchiò si aprì in un urletto estasiato.

- Hermione! - esclamò venendole incontro allegrissima. La Granger sorrise spontaneamente sentendo la perfetta pronuncia del suo nome. - Che bello vedorti!

Si abbracciarono.

- Come stoi? Sei guarota? - chiese Fleur, allontanandosi un attimo per scrutarla meglio da lontano.

Hermione annuì, troppo stanca per parlare.

- Vioni, ti porto a casa Weasley! - esclamò facendole strada verso la portiera del passeggero. Le aprì perfino la portiera, e a quel punto Hermione si sforzò almeno di ringraziarla, facendo appello alle ultime forze che le erano rimaste. Gli ultimi giorni in ospedale gliele avevano prosciugate tutte.

Salì anche Fleur e inserì le chiavi. Con un rombo la macchina si accese, e la bionda francese emise un gridolino di gioia.

- È tua questa macchina? - chiese Hermione sinceramente meravigliata. Era proprio una bella macchina: grande, spaziosa, sportiva e di lusso allo stesso tempo.

- Oui! - esclamò felice Fleur schiacciando l'acceleratore. - Ho fatto on corso per avore la patonte qualche mese fa, perché ho scoperto do avore on debole pour le macchone.

Hermione sorrise. Quella giovane donna, di poco più grande di lei, stava iniziando ad essere un esempio.

Una donna che guida è una donna potente.

Glielo ripeteva sempre sua mamma da piccolina.

Rimasero un po' in silenzio poi. Hermione guardava fuori dal finestrino, le case che sfrecciavano veloci davanti ai suoi occhi, le persone, gli alberi. E Fleur accese la radio, facendo partire una canzone che la gasò un sacco, col risultato di farla guidare ancora più veloce.

Circa cinque minuti dopo, a canzone terminata, nella macchina era tornato il silenzio. Non un silenzio imbarazzato, o teso, un silenzio calmo.

Fleur si schiarì la voce piano. Lanciò un'occhiata a Hermione. - Hai sentoto di Arthur, immagino - sussurrò tristemente. La sua voce, rispetto a quando aveva parlato della sua nuova macchina, era cambiata notevolmente.

Hermione si raddrizzò improvvisamente sullo schienale del sedile, come scottata. Deglutì. Arthur...

Gli occhi iniziarono a pizzicarle. Annuì piano, senza guardare l'amica negli occhi.

- Il funerale sarà domani mattona, alle dioci - terminò Fleur. Sapeva che per Hermione era un tasto dolente, non voleva rischiare di ferirla ulteriormente.

Capì che Hermione era esausta, e le consigliò di riposarsi e di chiudere gli occhi. - Il viaggio è longo - disse. - Se vuoi, là diotro c'è on coscino - le propose indicando un punto dietro il suo sedile.

Hermione lo chiamò con un incantesimo non verbale e chiuse gli occhi. Le sembrò di addormentarsi quasi all'istante, ma in realtàera in uno stato di dormiveglia.

Si lasciò trascinare dai pensieri, pensando alle vie di Londra, alla Burrobirra, a Draco, al suo caldo lettino a Hogwarts... ad Arthur, il suo secondo padre.

Poi si addormentò, concedendo un attimo di pace al suo cuore, tormentato e stanco.

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