35. Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie

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Draco prese un profondo respiro.

Stava per uscire da Hogwarts clandestinamente per smaterializzarsi al San Mungo, per andare a trovare la ragazza che gli aveva letteralmente rubato il cuore.

Era bizzarra come situazione, perché il biondo si sentiva agitato. Ed era sicuro che il motivo non era il fatto che stava rompendo le regole del regolamento studentesco di Hogwarts.

Non si era mai sentito così nervoso prima di vedere una ragazza. Mai nella sua vita. Ne aveva portate a letto innumerevoli, ma erano sempre state le tipiche ragazze da botta e via; mai nessuna era tornata due volte tra le sue braccia, per scaldargli le lenzuola.

E Pansy? Pansy era stata innamorata di lui sin dal primo anno, e il biondo aveva giocato con i suoi sentimenti fin dal principio. Mi correggo, Pansy era stata l'unica ragazza a essere privilegiata da Draco Malfoy: più e più volte avevano passato minuti focosi, lei gemendo il nome di lui, lui trattenendosi a qualche sospiro. 

Pansy si era lasciata usare, sottomettere, piegare da lui. Per anni non aveva avuto la forza di dire basta, di darsi un tono, di riuscire ad ammettere che Draco la rovinava. Per lei andare a letto con il biondo significava un barlume di speranza. Ogni volta sperava che finalmente lui si fosse accorto di lei, che d'ora in avanti l'avrebbe amata e rispettata, ma mai era stato così. 

Con l'aiuto di Astoria Greengrass, al quinto anno era riuscita ad alzare la testa. Aveva aperto gli occhi e si era resa conto di quanto sciocca fosse stata: Malfoy l'aveva sempre e solo usata per sfogare i suoi bisogni da maschio adolescente. Era già tanto se la considerava un'amica. 

Così Pansy era andata da lui e gli aveva parlato. Chiara e concisa era stata, precisa e senza peli sulla lingua. E fortunatamente Draco, che era un donnaiolo ma che stupido non era, aveva capito. Si era perfino scusato. Da quel momento i due erano diventati praticamente migliori amici. Dove c'era uno c'era anche l'altro.

Draco indossò la pesante sciarpa verde-argento, bardandosi il collo per bene, e decise che era il momento di andare. Guardò l'ora sul prezioso orologio, forgiato di rubini rossi, che era appeso alla parete. Segnava esattamente le 23.59.

"La vecchia megera starà pur dormendo, a quest'ora" pensò speranzoso Draco, alludendo alla McGonagall.

Con passi felpati (ma decisi ed eleganti) raggiunse la porta, e senza far rumore ne uscì, chiudendosela alle spalle. Lasciò la Sala Comune delle Serpi e camminò spedito fino al grande portone di Hogwarts.

Lo trovò chiuso, e si morse la lingua silenziosamente: avrebbe dovuto aspettarselo. Cosa si era immaginato, che il caro vecchio Filch magari gli tenesse pure la porta per farlo uscire?

Decisamente contrariato tornò da dove era venuto, deciso a mettere in atto il Piano B (inventato sul momento).

Per fortuna teneva sempre la sua fedele scopa sotto al letto! La tirò fuori e ci si mise a cavalcioni. Si avvicinò alla finestra intrepido, la spalancò e senza pensarci due volte si buttò fuori, nella fredda notte.

Si alzò in volo e sfrecciò veloce, fino a che il castello non fu abbastanza lontano. Quando fu sicuro che i confini di Hogwarts fossero terminati planò leggiadro verso terra, pronto a smaterializzarsi.

Poggiò i piedi sul terreno e, con la scopa ancora in mano e il cuore che batteva forte, pensò intensamente al San Mungo e a Hermione. Strinse gli occhi e il familiare strappo all'ombelico lo avvisò di essere nel bel mezzo di una smaterializzazione.

I suoi piedi toccarono qualcosa di solido e subito il ragazzo aprì gli occhi. Dovette strizzarli più volte per abituarsi al buio del luogo nel quale si trovava. Un terribile odore di ospedale, inconfondibile, gli stuzzicò le narici, facendogli storcere il naso infastidito.

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