Appartenere

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Vi consiglio di ascoltare la canzone volume medio mentre leggete il capitolo.

Oh, I'm still holding on to everything thath's dead and gone I don't wanna say goodbye 'cause this one means forever.
-In the stars, Benson Boone.

Ferdinando
Come è giusto che sia, Io e Amy avevamo entrambi bisogno di staccare la spina.

Certo che in tutta la mia vita non immaginavo un finale così diverso, credevo ancora nei sogni, ci speravo tanto, credevo nel lieto fine, ma non tutto ciò che immaginiamo fa parte davvero della realtà, della nostra realtà.

Mi siedo sulla panchina del cimitero. Sono nella parte B, ho in mano un mazzo di fiori e un libro incartato, non sono mai venuto prima di questo giorno. Non ero in vena di fare feste, in quei giorni ero pieno di cose da fare e pieno di interviste da gestire. Il mio lavoro mi teneva occupato, i miei pensieri non mi davano tregua. Ho recuperato i rapporti con il compagno di mia madre anche se ormai lei è più felice di restare da sola, ed insieme a lui ho aperto un'azienda di giornalisti, io sono il capo e lui il mio vicecapo.

Da lontano vedo migliaia di nicchie messe tutte una affianco all'altra. Pensare che due mesi fa ero felice e cantavo e dopo il mondo mi è crollato addosso, è arrivato come un tornado e mi ha colpito nelle vene.

Io e Raul riusciamo in ogni modo a vederci e a stare un po' insieme, come due veri amici.  Dopo il suo arresto, pensavo che il nostro legame sarebbe scomparso, per fortuna però è andata diversamente. Un giorno tra tanti, bussano alla mia porta, vado ad aprire e mi ritrovo il mio amico. Ormai uomo con la barba curata e le spalle giganti.

Pensare che prima del suo arrivo al collegio, ero solo e dopo tutto è cambiato, tutto si è capovolto: le mie aspettative, le mie abitudini, i miei sogni, le mie decisioni. Lui e solo lui,  in ogni modo è riuscito a farmi conoscere una parte di me, che neanche conoscevo.

Mi avvicino alla nicchia, dell'angelo più dolce e gentile che ci sia in questo cimitero.

«Come stai?» Chiedo mentre poggio i fiori sopra il vetro.

«Sai, ho pubblicato per la prima volta un saggio.»

«Avevi ragione, ci sono riuscito. Ho recuperato e ho chiarito con il nuovo compagno di mia madre e insieme abbiamo aperto un'azienda.» Racconto. Sono convinto che possa ascoltarmi ed ho bisogno di raccontare a qualcuno queste cose.

«Ho tagliato i capelli, li ho rasati tutti!»

«Ti ho portato il libro che ho scritto, vorrei un consiglio da qualcuno.»

«A me si, va tutto bene. Grazie!»

Ma sto parlando da solo?

«Ho incontrato una ragazza nuova, è bionda e gentile ed educata. Ci sto bene, avevo bisogno di qualcuno!» Aggiungo sedendomi a terra accanto alla nicchia.

«E invece no, non sto bene! Non riesco ad andare avanti con nessun'altra. Mi manchi tanto e sai che non l'ho mai detto a nessuno, tu sei la prima con cui ho parlato, sei la prima, tra le donne a cui ho raccontato il mio sogno, sei la prima a cui ho perdonato l'imperdonabile, sei la prima che mi ha sorriso, la prima a cui ho sorriso, la prima che ha creduto in me. Non doveva andare così, la colpa è tutta mia amore mio! Ero e sono preso così tanto da te, tanto innamorato. Mi hai colpito e sai non è poco. Domani abbiamo l'intervista, noi del collegio. Mancherai, mancherai accanto a me e non posso accettarlo! Non riesco ad accettarlo capisci? Dovevamo essere il futuro, dovevamo essere noi. Io ti appartengo, ogni briciola del mio corpo ti appartiene, ogni briciola della mia mente, ogni briciola di me è tua. Ho smesso di mentire a me stesso e di mentire a chi mi sta intorno, anche io ho bisogno di qualcuno al mio fianco. »

«Voglio raccontarti di me. Te lo meriti!» Aggiungo sospirando.

«Avevo sette anni. Mia madre conobbe un signore, un signore che a me trasmetteva ansia e paura. Mia madre era sempre fuori per lavoro, un lavoro che le impiegava quasi sempre tutta la notte. Ero un bambino e non sapevo cosa poteva aspettarmi.
Un giorno, un giorno, così a caso organizzò una cena con un uomo. Io ero geloso di mia madre e non potevo accettare di dover cenare in casa con un altro uomo. Mi si avvicinò e mi chiese se frequentassi scuola o se mi piacesse giocare a calcio, svogliatamente gli dissi alcune informazioni mie e lui mi accarezzò il viso. Così ogni sera veniva a casa e cenava con noi. Capitava alcune volte che lui e mia madre litigassero ed io andavo a rifugiarmi nell'armadio con Kris, la mia rana, e canticchiavo la mia canzone preferita "Attenti al lupo" di Lucio Dalla. I giorni, i mesi, gli anni passavano velocemente e quell'uomo oramai era diventato il padrone di casa mia.» Racconto mentre mi scende una lacrima, mi metto il cappuccio e continuo a raccontare.

«Mia madre cominciò a fidarsi ciecamente, tanto che mi lasciava da solo in casa con lui. Ed io, io ero impassibile. Tremavo al solo pensiero di dover cenare da solo con lui. Fissava ogni mia mossa, ogni mio comportamento, mi spiava mentre mi lavavo, mi spiava mentre leggevo o mentre mi vestito, addirittura mentre dormivo. Cominciò poi a non voler più cucinare e la cosa peggiore fu che uccise davanti ai miei occhi Kris. Bruciò i miei libri, spesso capitava che mi facesse dormire fuori al balcone.»

«Come potevo liberarmi di quel mostro? Come potevo?» Chiedo mentre mi porto le mani al viso con le gambe che mi tremano.

«Mi ha violentato, ha abusato di me. Abusava di me ogni sera chiamandomi "Ferdinando."
Quegli anni furono per me i peggiori, non mi reggevo in piedi e la cosa peggiore sai qual era? Mia madre non si rendeva conto di come io stessi davvero. A quattordici anni mi spedirono in collegio, pensavo che l'incubo fosse finito e invece no. Nel collegio c'era un gruppo di ragazzi che mi torturava, il leader del gruppetto,"Lyc", abusava di me, stracciava tutti i miei libri, venivo addirittura rinchiuso in bagno nudo, fin quando un giorno esausto lo raccontai a Sorella Katrin. Quella donna in qualche modo ha cercato di aiutarmi, ma ormai non ero più un bambino. Niente avrebbe più potuto ferirmi. Ricordi la favola che ti raccontai quel giorno che riuscì finalmente a sorriderti?
Ricordi il modo in cui ti fissavo?
So che ora è tardi ma devo confessartelo, il tuo sorriso, la tua gentilezza, i tuoi modi di fare mi hanno salvato.
Hai sempre avuto ragione, Amore poteva sopravvivere, avrei potuto capirlo prima, così magari da poter passare anche più tempo con te.»

«Mi dispiace se non ho mantenuto la promessa. Mi dispiace se siamo caduti e non ci siamo più rialzati. Forse questo era il nostro destino. Scusami, scusami se ti racconto tutto questo soltanto ora. Tuttavia sai bene che sono sempre stato quel tipo che non voleva essere protetto o addirittura capito, toccato. Scusami se tu cercavi di avvicinarti e scusami se io ti allontanavo. Scusami per tutto.» Mi alzo, non riesco a restare qui, devo andare, mi asciugo le lacrime.

Guardo la foto che hanno messo in quel cerchietto e aggiungo:
«Mi mancherai Amelina Firth.»

Mi dirigo verso il cancello del cimitero, devo andare da Raul.  Arrivato, busso alla porta.

«Cosa succede amico?»

«Sei andato da Amelina?» Domanda come se conosce già la risposta.

«Non andrò mai più!»

«È tutta colpa mia, capisci. Dovevo andare con lei, quel giorno!» Rispondo sedendomi sul divano.

«Io, pensavo...»

«Lo so cosa pensavi, anche io l'ho pensato mesi fa. Ma basta, hai un'azienda, un futuro, una vita davanti e Amelina è stata un pezzo di quella vita. Bisogna andare avanti. Ascoltami, ti prego!» Aggiunge mentre beve un succo alla pesca..

«Mi ascolti? Ora ci sono io.»

«Grazie Raul!»

«Domani abbiamo l'intervista, mica puoi piangere? Noi siamo dei lupi, noi ci mangeremo il mondo e lo sai bene.» Aggiunge, ma lo vedo abbastanza stanco e triste.

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