Lettera ad Amelina

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Amelina

Dopo aver litigato con Ferdinando entro in casa e velocemente rovisto nell'armadio e trovo la lettera di Ferdinando, quella che non ho mai letto.

La apro con le mani che tremano:

«Ciao Amy.
Scrivo lettere a tutti, dovrebbero chiamarmi "Scrittore".
Vorrei dirti che in quei pochi istanti che trascorrevamo insieme in collegio ero me stesso. Non voglio dilungarmi troppo, non sono tanto bravo.
Tuttavia Amy devo dirtelo: devo farlo perché ho capito che la vita è breve ed io ho bisogno di confessartelo.
Può sembrare forse strano dato che il nostro sembrava soltanto un rapporto occasionale, ma volevo dirti che per me non era così.
Io ti amo, ti amo così tanto che ho accettato di rimanere tuo amico pur di non perderti. Però non sono l'uomo adatto a te. Non sono quell'uomo che può darti una vita piena di girasoli e rose.
Io ci ho provato a migliorare. Ci ho provato con tutto me stesso, purtroppo abbiamo mollato troppo presto. Però sei stata l'uragano più bello che mi sia mai capitato e non è poco dato che io gli uragani li ho sempre odiati."

Vado in cucina, prendo il cellulare e provo a chiamarlo. Nessuna risposta, telefono spento.

Prendo quindi il mio cappotto nero e velocemente
esco di casa.

Mi rendo conto che è tardissimo ma devo dirgli di aver letto quella lettera, devo scusarmi con lui. Voglio dirgli che non ho mai mollato per davvero. Mai.

Metto in moto la mia auto, accendo la radio.

Mi guardo attorno mentre guido. Metto la freccia per poter girare, per poter vedere finalmente Ferdinando e dirgli ciò che penso.

Un auto comincia a farsi sempre più vicina a me, mi sta seguendo. C'è un uomo che mi segue, un uomo con la barba, un'Audi nera. Comincio ad accelerare sempre più forte, devo allontanarmi.

Lui continua ad accelerare stando al passo con me. È una guerra, è un caos tra poggia, tuoni, sgommate, sfrecciate, curve.

Mi suona il cellulare sul cruscotto, guardo per un secondo lo schermo: Ferdinando Brown.

Devo rispondere. Mentre accelero afferro il cellulare.

«Amelina? Hai chiamato?»
«Si»
«Dimmi... dove sei?»
«Sto venendo da te. Ho bisogno di parlarti.»
«Di cosa? Ehi... non ti sento bene!» La chiamata comincia a bloccarsi. C'è poca linea.

Giro il vico, sono quasi fuori casa di Fernando. La macchina di quell'uomo continua a seguirmi. Accendo i fari per guardare meglio la strada, lampeggio. Mi squilla di nuovo il cellulare.

Questa volta lo afferro ancora più violentemente.
«Amelina sei in pericolo?» Chiede Fernando.
«Sono fuori casa tua.»

Stacco la chiamata, alzo lo sguardo. Una luce bianca, potente, illuminante mi abbaglia la vista.

Perdo l'equilibrio.

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