L'anta del cancello cigolò in apertura. Questa volta non lo fece una seconda volta.

Parise e il suo galoppino se n'erano andati lasciando la porta aperta.

Anna caricò lo zaino in macchina. Chiuse il portabagagli e disse: «Possiamo andare.» Quindi andò a posizionarsi dietro al volante.

Tonio le sedette accanto.

Oltrepassato il cancello, lei gli ordinò di chiuderlo.

Tonio scese dall'auto per eseguire l'ordine, ma si rese conto che non avrebbe mai potuto farlo: la serratura era stata scassinata e non era più utilizzabile. Pertanto, si limitò ad avvicinare le ante l'una all'altra.

«Fatto?» gli chiese Anna quando rientrò in macchina.

«Fatto» disse lui. Non gli importava che non fosse vero, e poi là dentro non c'era proprio più nulla da rubare, almeno a non voler sradicare gli ulivi.

La Fiesta fu fatta dirigere verso la statale.

Quando vi arrivò, una certezza prese al guinzaglio tutti i flussi di pensiero nella mente di Tonio: prima o poi sarebbero stati fermati da una pattuglia della Stradale per un controllo.

Sarebbe andata così, non aveva alcun dubbio.

Gli sbirri avrebbero confiscato lo zaino e tutti i personaggi di quella tragedia sarebbero rimasti a bocca asciutta.

Proprio un bel finale da film thriller.

La bomba non sarebbe andata né a Popov né a Parise, e loro, vale a dire lui e Anna, avrebbero trascorso il resto dei loro giorni nella speranza che qualcuno ritrovasse il corpo di Sara così da poterle dare degna sepoltura e avere almeno un posto in cui andare a piangerla.

Per fortuna, non incapparono in un posto di blocco né sulla 17 né su tutte le altre strade che percorsero di ritorno a casa.

Tonio non tirò un sospiro di sollievo nemmeno quando Anna usò il telecomando per aprire il cancello d'ingresso e la serranda.

Lo fece solo quando lei spense il motore una volta che furono in garage.

Scesero dall'auto.

Tonio fece un cenno verso la vettura.

«Lo lasciamo lì dentro?»

Era ovvio che si riferiva allo zaino.

«Certo. Cosa vorresti fare, portartelo su in camera da letto?»

Tonio avvampò di rabbia. Riuscì a reprimerla un attimo prima di esplodere.

La domanda di Anna gli aveva ricordato l'attacco di libidine che lei aveva avuto il giorno in cui aveva visto la bomba per la prima volta. Episodio che lui aveva potuto visionare sul tablet di Parise.

«Facciamolo vicini a lei» aveva proposto Anna. E il suo amante, a ragione, l'aveva apostrofata con un aggettivo molto adatto alla circostanza: depravata.

«No, certo che no. Non voglio portarmelo in camera da letto» rispose ora Tonio, deglutendo come a voler spegnare con la saliva gli ultimi focolai d'ira che ancora gli bruciavano nello stomaco dopo essere stati evocati dal ricordo di quel maledetto filmato. «Io vado di sopra» stabilì poi, all'improvviso. «E che non ti venga in mente di venirti a stendere accanto a me.» Lo disse in tutta calma, ma con il tono che non ammette repliche del professore severo quale lui in realtà non era mai stato.

Anna lo lasciò andare senza aggiungere niente.

Arrivato in camera, Tonio si tolse la sola giacca e si distese sulla sua metà del letto matrimoniale, certo che non si sarebbe mai addormentato.

Stava pensando a Sara, prigioniera di spie senza scrupoli, quando si accorse che i suoi piedi scalzi affondavano leggermente nella sabbia umida in riva al mare.

L'inevitabile baia, si disse consapevole anche in quell'occasione che si trattava di un sogno. Quindi si guardò intorno, prendendo atto di essere solo.

Questa volta, nemmeno Anna era accanto a lui.

Si chiese cosa dovesse fare lì, senza compagnia, arrabbiandosi poi con se stesso per il fatto che neanche in sogno riusciva a immaginare di fare un passo senza la traditrice che aveva sposato.

Al diavolo!

Calciò l'acqua che al ritmo della risacca gli si insinuava sotto i piedi e si avviò in direzione della torre saracena.

Cadde dopo aver percorso meno di un metro, con il petto in fiamme.

Come aveva fatto quel pomeriggio mentre sua moglie lo pugnalava in un altro incubo, si domandò se per caso il dolore non fosse il riflesso onirico di un attacco cardiaco che stava avendo nel mondo reale.

D'un tratto il cielo sopra di lui si caricò di minacciosi nuvoloni scuri. Un vento fortissimo e gelido prese a spirare verso la costa.

Tonio guardò il mare.

Al largo si era formata un'enorme onda, alta almeno una decina di metri e lunga quanto tutto l'orizzonte. Nera come il cielo, procedeva verso la spiaggia a una velocità pazzesca.

Tonio capì che doveva alzarsi se non voleva essere travolto.

Suo malgrado scoprì che non sarebbe mai stato in grado di muoversi, e tanto più per la profonda stanchezza che per l'infarto vero o fasullo che stava avendo.

Chiuse gli occhi.

Lo tsunami lo investì, ma stranamente non lo spazzò via, anzi non lo smosse di un millimetro.

A quel punto, Tonio rialzò le palpebre.

Sotto la schiena avvertì la consistenza asciutta del suo materasso.

Intorno a lui il freddo della repentina tempesta del sogno era stato sostituito dal torpore della sua camera da letto.

Ciononostante, sapeva di non essersi ancora svegliato.

Il problema, una volta di più, era Anna.

Gli teneva la faccia sospesa sulla sua, tanto vicina che le punte dei nasi si sfioravano.

Aveva di nuovo quelle pupille mostruose (verticali, come i gatti) e i suoi canini erano molto più lunghi del normale, come quelli di una vampiressa.

Anna gli sussurrò due parole.

Lui non le capì e le chiese di ripeterle.

Lei lo fece più e più volte, alzando il volume della voce a ogni reiterazione.

«E' ora. E' ora. E' ora.»

Finì con lo strillare.

«E' ORA.»

Poi, di punto in bianco, gli azzannò il collo.

Lui urlò e fu espulso dal sogno, questa volta sul serio.

Ma il volto di Anna era sempre librato sul suo.

Oddio.

«Svegliati, Tonio» le stava dicendo lei. «E' l'alba. E' ora di andare.»

Lui ebbe l'impressione che il letto volesse inghiottirlo.

Sperò che lo facesse per davvero. E che magari dopo lo masticasse per bene e lo risputasse in poltiglia.

Poiché non avvenne nulla di tutto ciò, Tonio si mise seduto contro la testiera del letto.

Si stropicciò gli occhi e rifletté che se non poteva essere mangiato dal proprio letto doveva almeno venirgli data la possibilità di tornare indietro nell'incubo, a farsi succhiare il sangue dal mostro in cui era capace di trasformarsi sua moglie.

Sempre meglio che affrontare la realtà, rifletté passandosi una mano sul capo.

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