Il palazzo del ghiaccio

Fyodor arrivò all'arena a partita già iniziata.

Giunto davanti al sedile contrassegnato con il numero riportato anche sul suo biglietto, rimase in piedi.

D'altronde, nessuno era seduto.

Nonostante fosse alto quasi due metri, sedendosi non avrebbe potuto vedere niente di quello che accadeva sulla pista.

Non che fosse il momento di divertirsi, ma dimostrando disinteresse qualcuno avrebbe potuto trovare sospetto il suo comportamento. Qualcuno avrebbe potuto pensare che non era là per gustarsi lo scontro dell'anno.

Si guardò intorno.

L'Ice Palace di San Pietroburgo era gremito.

Forse aveva addirittura fatto registrare il tutto esaurito.

All'interno della struttura dovevano esserci perlomeno diecimila spettatori urlanti.

Di certo, almeno un altro milione di persone stava seguendo l'incontro in tv.

Era normale che quell'evento avesse tanta risonanza.

Lo Ska di San Pietroburgo e la Dinamo Mosca avevano una decennale storia di rivalità.

Per giunta, in quell'occasione, con i playoff alle porte, la prima in classifica della divisione Bobrov e quella della Tarasov si contendevano anche il primato della conferenza occidentale della Kontinental Hockey League.

Non una cosa da poco. Per un russo almeno.

Fyodor tifava per i moscoviti e quella mattina aveva pure piazzato una scommessa rilevante sulla vittoria fuori casa della sua squadra.

Avrebbe tanto voluto vedere la partita fino all'ultimo, ma non appena avesse consegnato al saudita la cartellina che teneva ripiegata in una tasca interna del parka, sarebbe dovuto uscire dall'impianto e raggiungere il gran capo che lo aspettava di fuori, in un SUV parcheggiato poco lontano dal palazzetto, per ragguagliarlo sull'esito dell'operazione.

Sperava solo che in quella bolgia nessuno filmasse, si accorgesse o trovasse sospetto il passaggio di mano di un fascicolo spiegazzato da un russo alto e robusto a un piccoletto dai chiari tratti mediorientali.

Maledetto Yasser!

Prima di allora si erano incontrati tre volte, e sempre in luoghi appartati, lontani da occhi e orecchie indiscreti.

Ma per l'atto finale, il saudita aveva preteso che si vedessero in un luogo pubblico molto affollato.

Di certo temeva che con il denaro già in cassa il grande orso russo, invece di dargli quanto pattuito, lo liquidasse piazzandogli un proiettile in mezzo agli occhi o spezzandogli il collo.

Ma Fyodor non lo avrebbe mai fatto, e il gran capo non glielo avrebbe mai ordinato. E tanto per un semplice motivo: i musulmani, almeno quelli della razza rappresentata da Al-Dossari, erano pazzi, sanguinari e vendicativi, pertanto era meglio non farli incazzare uccidendo qualcuno che lavorava per loro. O fregandoli in maniera troppo evidente, ragione per la quale non stavano per dar loro in pasto un uomo mai esistito, bensì un vero ex agente tedesco, Manfred Krause, realmente coinvolto in Strike Zero e assegnatario di una bomba che non era mai tornata indietro per davvero, sebbene con tutta probabilità fosse stata fatta sparire da un altro crucco che di cognome faceva Brehme e che doveva essersi catapultato su un altro pianeta, visto che era riuscito a non farsi mai rintracciare dall'SVR.

Fyodor cominciò a prestare attenzione alla partita proprio mentre un attaccante della Dynamo, innescato da un perfetto passaggio del portiere, sgusciava fra due avversari nel bel mezzo del cerchio di centro-pista, con il dischetto incollato al bastone.

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