L'interrogativo non trovò risposta nemmeno quando Tonio riaprì gli occhi.

Adesso la realtà che gli stava davanti era una scena in cui il tempo pareva essersi fermato, ma solo per i protagonisti, mentre continuava a scorrere per tutti gli altri elementi secondari circostanti.

Era una sorta di fermo immagine in cui solo a taluni particolari insignificanti era concesso di muoversi.

Il venticello soffiava, i rami degli alberi ondeggiavano, qualche foglia cadeva, qualche altra volava via, e gli uccelli volteggiavano contro l'azzurro del cielo, cinguettando, gracchiando, garrendo, tubando, stridendo. Ma Popov era immobile con la pistola puntata in avanti e verso il basso, e Sara era gattoni, ferma alla fine della linea di tiro del russo.

Nessuno dei due pareva sofferente, ma Tonio si aspettava che da un momento all'altro uno di loro si sarebbe accasciato.

Signore, fa' che non sia Sara.

Passò un secondo. Poi un altro e un altro ancora.

Non accadde nulla.

Alla fine, il tempo tornò a scorrere anche per gli attori principali: Sara riprese ad avanzare a quattro zampe; il russo aggiustò la mira.

Tonio ricostruì cos'era successo.

Non era stato Popov a fare fuoco.

Il colpo era partito dalla foresta alle loro spalle, ma non aveva centrato nessuno.

E adesso il russo aveva un'altra possibilità di uccidere Sara.

Gesù.

Risuonò l'ennesimo sparo.

Tonio vide un lampo di luce avvolgere l'arma di Popov.

Sara si bloccò di nuovo, ma non cadde.

La pistola di Popov volò di lato perché non c'era più alcuna mano a reggerla.

Tonio capì che la manifestazione luminosa a cui aveva appena assistito non era una vampata prodotta dall'arma del russo, bensì il frutto della collisione di un proiettile sparato dalla foresta con la pistola stessa.

Con un'espressione di profondo sconcerto, Popov si portò davanti agli occhi il moncherino sanguinolento che aveva soppiantato la sua mano destra.

Non fece nemmeno in tempo a inorridire perché un altro proiettile lo centrò in fronte e, mentre stramazzava al suolo, un altro ancora gli strappò via il mento.

Sara si mise in piedi.

Tonio la vide corrergli incontro e spalancò le braccia per abbracciarla. Ma all'ultimo momento lei cambiò direzione e si gettò al collo di sua madre, coprendole il volto di baci e cominciando a scaricare la tensione con un bel pianto dirotto.

Tonio valutò se unirsi a loro.

Mentre ci pensava, dal sentiero che immetteva nella radura sopraggiunse a tutta velocità una berlina nera.

Anna e Sara sciolsero il loro abbraccio e focalizzarono la loro attenzione sulla vettura.

Tonio temette che non fosse finita anche quando si rese conto che si trattava dell'Audi di Parise e che al volante c'era lo stesso avvocato.

Mentre la macchina si fermava, un fruscio di vegetazione smossa e calpestata li fece voltare verso il fondo dello spazio aperto.

Da un cespuglio venne fuori Sinisi.

Tonio se lo era immaginato nascosto nella boscaglia con indumenti mimetici, e invece quello era in maniche di camicia e indossava i pantaloni dello stesso completo del giorno prima.

Tuttavia, oltre alla giacca, si era tolto di dosso anche la cravatta e imbracciava un fucile dalla canna lunga e sottile sormontato da un mirino grande quasi come un binocolo.

«Che vuol dire tutto questo?» chiese Parise.

L'avvocato era sceso dall'Audi e si stava avvicinando a passo di carica, passando fra i corpi dei russi, ma non degnando di uno sguardo neanche quello più curioso, ovverosia quello del piccoletto morto ma ancora in ginocchio.

«Cosa intendi, caro?»

Parise sembrava avere propositi bellicosi, ma Anna non ne era intimidita neanche un po'. Anzi, era radiosa per aver appena avuto la possibilità di riabbracciare sua figlia.

L'avvocato indicò Sinisi.

«Lui dice che in macchina non c'è niente. Spero proprio che si sia sbagliato.»

Anna osservò il fucile dell'ex incursore.

«Guarda quant'è grande l'ottica che monta la sua arma, Giulio. Secondo te, come ha fatto a sbagliarsi?»

«Vuoi dire che...?»

«Sì, Giulio, voglio dire che stanotte mi sono data da fare e ho di nuovo nascosto lo zaino con tutto quello che contiene.» Anna elargì un sorriso di scherno da zigomo a zigomo. «D'altra parte, se me lo fossi portato dietro, Nikolay Vladimirovich ci avrebbe uccisi tutti. Non trovi, Giulio caro?»

Parise accennò al suo aiutante.

«Ci avrebbe pensato lui.» Con il pollice indicò poi la carneficina dietro di lui. «Come d'altronde ha fatto per davvero, dannazione!»

Anna sorrise.

«Non prendere collera, caro. Ero certa che sareste intervenuti, ma poi avrei dovuto darlo a voi. Lo zaino, intendo.»

«Mi stai dicendo che siamo punto e a capo?»

Anna guardò Sara, come se volesse carpire la sua opinione riguardo a quello che lei stava per dire, ma quella era troppo stravolta per mostrare un qualunque tipo di emozione.

Sì voltò verso Parise.

«Sì, Giulio. Ti sto dicendo proprio questo: punto e capo.»

«Non sei andata molto lontana da casa» intervenne Sinisi, sogghignando. «Lo troveremo in un nonnulla.»

Anna si girò in direzione dell'uomo con il fucile.

«Pensi che abbia nascosto la bomba da qualche parte vicino casa?»

«E quello che ho detto.»

«E cosa te lo fa credere?»

Fu Parise a rispondere.

«Ci sei andata a piedi. Il segnale GPS associato a questo trabiccolo non si è mosso dal tuo garage fino a stamattina.»

Anna scosse la testa.

«Non ci sono andata a piedi» affermò. «Ho trovato il dispositivo, l'ho staccato, ho fatto quello che dovevo fare e l'ho riattaccato alla carrozzeria una volta tornata a casa. Ah, e non ho portato con me il cellulare.» Si strinse nelle spalle. «Quindi mi dispiace, Giulio. Credo proprio che dovrete battere un territorio molto esteso se volete ritrovare la bomba.»

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