Tonio passò il resto della giornata in uno stato di catatonico torpore che non gli dispiacque per niente.

Si accomodò su una sedia di vimini sul terrazzino e puntò gli occhi sulla baia. E lì se ne stette, con il cervello spento per auto-protezione, mentre il cielo virava dall'azzurro al blu scuro al nero e il mare faceva più o meno la stessa cosa.

All'imbrunire, si levò una brezza più che fresca.

In altri tempi, Anna lo avrebbe richiamato, ordinandogli di tornare dentro se non si voleva buscare un malanno di quelli che entravano negli annali dei vecchi come loro.

Quella volta non si affacciò nemmeno per vedere se era ancora vivo, impegnata in casa a fare chissà che, di certo non a pentirsi della tragedia che aveva originato con le sue azioni e convinzioni.

Lo andò a trovare solo quando fu buio e lui non riusciva più a vedere nulla a un palmo di distanza dalla punta del proprio naso.

Gli si mise a fianco e per qualche secondo rimirò l'oscurità insieme lui, forse fissando l'unico elemento degno di nota in quelle tenebre, ovverosia le luci di un'imbarcazione lontana, probabilmente un peschereccio.

«E' ora» disse a un certo punto.

Tonio ci impiegò un bel po' per riscuotersi e riemergere dal gradevole ottundimento che lo pervadeva.

Quando alla fine ci riuscì, rimpianse di averlo fatto.

Cigolando come i cardini di una vecchia porta, si rimise in piedi prendendo atto di essere tutto intirizzito.

«Dove andiamo?»

Anna gli fece capire che non gli avrebbe risposto nemmeno quella volta. Si limitò a dargli una pacca su una spalla e a tornare in casa.

Se te lo dicessi, rischieremmo di non trovare più nulla nel posto in cui l'ho cacciata adesso che ci andremo, ricordò Tonio, seguendola.

Una volta dentro, lei cominciò subito a insistere che si mettesse addosso qualcosa di più pesante della giacca che aveva indossato quella mattina.

Lui non la stette a sentire.

Si stravaccò su un divano in soggiorno e aspettò che lei fosse pronta, proprio come aveva fatto negli ultimi quarantatré anni ogniqualvolta dovevano uscire insieme.

Se la ritrovò davanti dopo una ventina di minuti.

Pronta, profumata, bellissima come sempre.

Gli agitò una mano davanti agli occhi.

«Chiavi» disse asettica, come un chirurgo che richiede un bisturi in sala operatoria.

«Guidi tu?»

«Guido io.»

Tonio non si sentiva particolarmente agitato, ma era consapevole che ciò era dovuto al fatto che gli eventi di quella giornata pazzesca lo avevano annichilito.

Lei, invece, dava l'aria di una persona perfettamente in grado di gestire quella tensione.

«Allora?»

Tonio si frugò nelle tasche, trovò le chiavi della macchina e gliele consegnò. Facendolo, pose l'attenzione sull'abbigliamento di Anna: pantaloni larghi, felpa, scarpe basse.

Gli venne un dubbio.

Alzandosi, le domandò:

«Ci sarà da scavare?»

«No» gli assicurò lei. Si incupì. «Non questa volta.»

Dieci minuti più tardi erano nella Fiesta e stavano percorrendo la litoranea in direzione est.

Raggiunsero uno dei due paesi a vocazione turistica collegati dalla strada.

Tonio invidiò le normali esistenze della gente a spasso e si disse che solo fino al giorno prima lui era proprio come loro.

Proseguirono oltre.

Si immisero sulla statale 89 Garganica e la seguirono in direzione dell'entroterra.

Dopo un lungo tragitto silenzioso, arrivarono nei pressi della base dell'aeronautica militare all'interno della quale sorgeva uno dei campi di Parise, non quello in cui Anna aveva torturato e ucciso un uomo.

Avanzarono ancora.

Oltrepassarono l'uscita per la città.

Sempre senza scambiarsi una parola, presero la statale 16 Adriatica, quindi sfociarono sulla 17 Appulo Sannitica.

Aggirarono una città famosa per la una fortezza svevo-agioina e per un anfiteatro di epoca romana.

Se la lasciarono alle spalle.

Ormai erano a molti chilometri da casa.

Davanti a loro, più scuri del cielo stellato, si stagliavano i monti della Daunia.

A un certo punto, Anna abbandonò la statale e infilò una stradina sterrata che procedeva in direzione nord.

La percorse per qualche chilometro, quindi svoltò ancora.

Finì per fermare l'auto davanti a un cancello che forse un tempo era stato arancione. Attaccato al cancello, gli anabbaglianti illuminarono un cartello metallico corroso dalle intemperie con sopra la figura di un cane, quella di una mano armata di pistola e la scritta quasi illeggibile ATTENTI AL CANE E AL PADRONE.

Anna si sfilò dalla tasca due piccole chiavi unite da un anello metallico e le mise in mano a Tonio.

«Apri» gli disse.

Tonio guardò oltre il parabrezza.

«Cos'è questo posto?» chiese.

«Un appezzamento di terreno» gli rispose Anna.

Oltre il cancello, una stradina in salita serpeggiava fra ulivi tenebrosi.

«Lo vedo.»

«E allora?»

«Volevo sapere chi è il proprietario.»

Se si spazientì, Anna non lo diede a vedere.

«Appartiene alla signora Maria De Gregorio» disse.

«E chi sarebbe?»

Anna sospirò, adesso forse un po' seccata.

«Sono io, Tonio. Maria De Gregorio sono io.»


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