Il bar "da Gino" era una costruzione bassa e squadrata dall'aspetto triste.

Sulla facciata principale si apriva la sola porta d'ingresso in legno, senza alcuno pannello di vetro incorporato.

Poiché non c'erano finestre nemmeno sugli altri lati, a esclusione di una fenditura sul retro dalla quale fuoriuscivano i miasmi del bagno, dentro c'era sempre bisogno della luce artificiale.

L'entrata era sormontata da un'insegna che forse in passato si illuminava, ma che Tonio non aveva mai visto accesa, neanche quando ci passava davanti dopo il tramonto.

Alle spalle della struttura, c'erano i soliti, infidi e alti cespugli che celavano il punto esatto in cui il suolo, di punto in bianco, precipitava verso il mare.

Sul davanti si apriva un bianco spiazzo brecciato che, oltre all'onnipresente Punto di Marco, figlio di Gino, poteva ospitare al massimo un altro paio di veicoli e qualche scooter. Quando lo spazio era pieno, gli avventori che sopraggiungevano in macchina erano costretti a parcheggiare sul ciglio della provinciale, incrementandone la pericolosità dovuta alla sua tortuosità.

Ma quelli non erano problemi che si presentavano in quel periodo dell'anno.

Nelle buie sere invernali (ma anche autunnali e primaverili), dopo la definitiva chiusura per fallimento di "da Mimmo", un ritrovo che un tempo sorgeva qualche chilometro più avanti, il locale fungeva da unico e ufficiale abbeveratoio per i pochi e rudi beoni che abitavano nella pineta circostante. Nello stesso periodo, in tarda mattinata, il bar ospitava quegli stessi alcolizzati alla ricerca di caffè forte con il quale smaltire la sbornia del giorno prima. Era solo d'estate che "da Gino" riusciva a intercettare qualche cliente in più, creando qualche difficoltà di parcheggio.

Di conseguenza, alle sette e qualche minuto di una mattina di ottobre, Tonio si aspettava che lo slargo antistante il bar fosse occupato solo dall'utilitaria del figlio del proprietario. Pertanto rimase stupito quando, arrivandoci di nuovo un tantino affaticato, vide un'altra vettura ferma al centro dell'area.

Ebbe un tuffo al cuore quando si accorse che si trattava della stessa Audi nera che poco prima lo aveva un tantino turbato.

In quel momento, al posto di guida non c'era nessuno.

La vettura era ferma con il muso rivolto verso la strada, come se il suo conducente avesse previsto di avere fretta quando vi sarebbe risalito a bordo.

Tonio si diede del paranoico quando ricominciò a provare la strana sensazione di essere osservato dall'interno della berlina.

Che sia il passeggero che ho pensato di intravedere sul sedile posteriore?

Un po' titubante, Tonio si approssimò al veicolo, guardando all'interno dell'abitacolo per appurare se veramente ci fosse qualcuno seduto dietro.

Ben presto scoprì che alle spalle dei sedili anteriori c'era un elemento di separazione con una finestrella quadrata nel centro. Il problema era che la piccola apertura era nera come la pece e, per giunta, in quel momento era chiusa.

Continuando a progredire verso il locale e portatosi a qualche metro dal lato destro dell'auto, Tonio cercò anche di guardare attraverso i finestrini, ma poiché questi erano oscurati (come già aveva avuto modo di notare in precedenza, sulla strada) riuscì solo a vedere la sua immagine riflessa.

Alla fine distolse gli occhi, ma proprio mentre lo faceva credette di riconoscere un movimento dietro il solito vetro posteriore destro.

Vincendo la tentazione di riportare lo sguardo sul mezzo, raggiunse la porta d'entrata del bar e, sapendo cosa fare per aprirla sebbene non ci fosse nessun cartello a ricordarglielo, la spinse verso l'interno e ne varcò la soglia.

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