Il gioco delle ombre

«Tornate in strada e seguiteci» dispose Parise.

Popov lo fissò battendo ritmicamente una mano sulla cappotta della BMW.

L'avvocato si aspettava che gli chiedesse qualcosa. Il russo, tuttavia, non disse nulla e salì in macchina.

Un istante più tardi, lui e Sinisi fecero lo stesso.

Questa Parise volta si accomodò davanti.

Si voltò per prendere il tablet e notò il sacchetto con i cornetti abbandonato dal professore.

Sentì lo stomaco brontolare.

Da bulimico qual era, pensò al momento in cui quella storia si sarebbe conclusa e lui avrebbe potuto ingozzarsi di dolci.

La BMW cominciò a risalire il vialetto in retromarcia non essendoci spazio per fare inversione.

L'Audi la seguì.

Parise rianimò il tablet per controllare una cosa.

La settimana prima, durante il colloquio avuto con Anna, lei aveva avuto bisogno di andare al bagno.

Era stato in quel frangente che Sinisi, approfittando del fatto che lei avesse lasciato incustodito il suo telefonino sul tavolino dell'albergo, vi aveva installato un software che aveva trasformato il dispositivo in una cimice audio-video e in un rilevatore di posizione con un margine di errore di appena un paio di metri.

Poco prima, quando il professore era svenuto per la prima volta, Sinisi gli aveva tolto la giacca e lo aveva trasportato in camera da letto. Quindi era tornato in cucina e aveva installato lo stesso programma sul telefono dell'uomo, riponendolo poi nella tasca in cui l'aveva trovato.

Adesso Parise aprì l'applicazione con la quale poteva monitorare i dispositivi ad essa associati e scoprì che al cellulare di Anna se n'era aggiunto un altro, di sicuro quello del professor Fiorentino.

Ottimo.

«E l'auto?» domandò.

«Tutto a posto» gli rispose l'ex incursore.

Significava che Sinisi aveva piazzato un trasmettitore GPS sotto la Fiesta del professore quando era sceso in garage per vedere dove si fosse cacciata Anna.

Ora, in pratica, avrebbero potuto osservare tutti gli spostamenti di Anna e di suo marito, a meno che non avessero lasciato i cellulari a casa e non si fossero mossi a piedi.

Inoltre, avrebbero potuto ascoltare tutte le loro telefonate e quello che dicevano nelle vicinanze dei due telefoni, oltre a vedere quello che le fotocamere dei dispositivi riprendevano, registrando automaticamente sia i suoni sia le immagini.

Parise sfiorò il nuovo identificativo e prese atto che dal cellulare del professore era appena partita una chiamata.

Riconobbe il numero di Sara.

Attivò l'audio.

Sara rispose dopo qualche squillo.

«Padre, come stai?»

Pareva parecchio in pena.

«Non tanto bene, figlia.»

Fiorentino, invece, sembrava parecchio esausto.

«Mamma mi ha detto che sei stato raggiunto dall'avvocato.»

Parise arguì che Anna e Sara si fossero sentite da poco. Prese mentalmente nota di recuperare al più presto il file audio che l'applicazione aveva archiviato per sentire cosa si erano dette.

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