Il nascondiglio

Raggiunta la statale 89 senza che nessuno la arrestasse per aver investito un agente di polizia, Anna aveva fatto inversione infilandosi in una complanare e percorrendo uno dei tanti ponti che incrociavano la strada dall'alto proprio per permettere agli automobilisti di cambiare il senso di marcia senza provocare incidenti mortali.

Ancora scossa per aver messo sotto il poliziotto più che per aver ucciso Brehme, aveva doppiato l'uscita che l'avrebbe riportata in città e aveva proseguito oltre.

Dopo essersi riversata sull'Adriatica, aveva preso la strada nazionale Appulo Sannitica in direzione del Molise.

Adesso, il faro superstite della Uno illuminava una nevicata sempre più fitta.

I fiocchi provenienti dal subappenino dauno si attaccavano ai vetri e, a mano a mano che l'auto progrediva verso il Passo del lupo, diventavano sempre più restii a sciogliersi di loro spontanea volontà, costringendola a mettere in funzione i tergicristalli.

Per sua fortuna sarebbe rimasta in pianura e pertanto non avrebbe corso il reale pericolo di rimanere bloccata in una bufera.

I tanti crucci che l'affliggevano per poco non le fecero mancare la sua uscita.

La vide e ci si infilò all'ultimo momento.

La sterrata che andava verso nord era in condizioni disastrose, piena di buche di cui era impossibile stimare la profondità perché colme d'acqua.

A un certo punto, la Uno finì in una conca che pareva un piccolo lago montano.

Anna rallentò, avvertendo lo sciabordio dell'acqua che sbatacchiava contro la parte inferiore degli sportelli.

Avanzò lentamente fino a quando non sentì le ruote girare a vuoto.

Il terrore di essere rimasta impantanata la fece gemere.

Prese a pugni il volante come aveva fatto prima, quando l'auto aveva deciso di mettersi in moto dopo aver finto di aver la batteria a terra. Questa volta, però, furono cazzotti di frustrazione e non di gioia.

Accelerò.

Gli pneumatici continuarono a slittare per un tempo che le parve lunghissimo.

Alla fine ripresero aderenza.

E vai!

L'auto poté riemergere dalla conca.

Con prudenza, Anna la condusse in un altro tratturo, fin davanti al cancello arancione del piccolo podere di proprietà di Maria De Gregorio, una donna inesistente nata il suo stesso giorno e dotata di vari documenti di identità con sopra la sua foto.

Anna si ricordò di non spegnere il motore se non voleva correre il rischio che tornasse a fare i capricci come prima.

Mise in folle e uscì nel freddo di gennaio.

Da una tasca del cappotto fece comparire due piccole chiavi tenute insieme da un anello metallico.

Si avvicinò al cancello. Assicurato ad esso con del fil di ferro, un cartello nuovo di zecca recava su di sé l'immagine della testa di un cagnone e quella di una mano che stringeva un revolver. Al di sotto delle figure campeggiava il monito: ATTENTI AL CANE E AL PADRONE. E tanto sebbene oltre la recinzione non ci fossero né animali né esseri umani.

Anna meditò che quella precauzione era del tutto insufficiente. Presto avrebbe dovuto stipulare un contratto con una società di vigilanza privata. Anzi, avrebbe già dovuto farlo da un pezzo.

Infilò una delle chiavi nella toppa e fece scattare la serratura. Spalancò entrambe le ante e tornò in macchina.

Si scongelò le mani avvicinandole alle bocchette dell'areazione. Subito dopo, per buona misura, vi alitò anche sopra.

Inserì la prima ed entrò nella proprietà della signora Maria De Gregorio.

Guidò lungo il viottolo che si inoltrava nel terreno, con le fronde degli ulivi che grattavano la cappotta della vettura.

Arrivò al centro dell'appezzamento sul quale non sorgeva né una casupola né un capannone.

L'unico manufatto era un pozzo che non si approvvigionava di acqua piovana in nessun modo.

La signora Maria lo aveva fatto costruire da un muratore stupito dal dover realizzare una cosa tanto inutile.

Anna fece in modo che l'unico faro della Uno lo illuminasse in pieno.

Fermò l'auto e rimise in folle.

Scese.

Mentre il freddo giocò a strapparle la faccia dal volto, Anna si approssimò al pozzo.

L'imboccatura era coperta da una pesante lastra di ferro verniciata di rosso e chiusa con un lucchetto.

Anna ritirò fuori le due chiavi unite dall'anello.

Questa volta usò quella di cui non si era servita prima. Sbloccò il lucchetto e sollevò il pesante coperchio.

Nel fascio di luce dell'unico fanale, tirò su due robuste corde che scendevano nel pozzo a partire da un paio di moschettoni assicurati ad altrettanti ganci d'acciaio infissi nel cemento della faccia interna del puteale.

Fatto questo, estrasse dal cappotto il silenziatore e la pistola e se ne liberò, gettandoli nel pozzo.

Dopo averli sentiti arrivare sul fondo, tornò alla macchina.

Aprì il portabagagli e prese lo zaino. Mentre lo adagiava sul bordo del puteale, si rese conto che, da quando l'aveva dissotterrato, non ne aveva controllato il contenuto nemmeno una volta.

Colta da un dubbio atroce, districò elastici e cordicelle e vi guardò dentro.

Vi vide lo stesso dispositivo che Manfred le aveva fatto sbirciare non appena l'aveva ricevuto. Ne avvertì la stessa eccitante pericolosità di allora.

Questa volta ne fu nauseata.

Dopo aver tratto un profondo respiro, distolse lo sguardo e ristrinse elastici e cordicelle.

Anche l'altra estremità delle due corde era dotata di moschettoni. Anna li agganciò alle cinghie dello zaino e cominciò a calarlo all'interno del pozzo, faticando non poco per non farselo sfuggire di mano.

Compiuta l'operazione, scoprì di essere zuppa di sudore, oltre ad avere entrambi i palmi segnati da profonde striature rosse.

Ricoprì l'imboccatura con la lastra di ferro e reinserì il lucchetto.

Tornata in macchina, fece inversione e si avviò verso il cancello.

Un'ora più tardi era a casa, al cospetto di suo marito, che era andato ad accoglierla all'ingresso dopo aver sentito la porta aprirsi.

«Mio Dio, Anna!» esclamò lui non appena la vide.

«Mio Dio, cosa?» fece lei, cercando di dissimulare la propria agitazione.

«Sei uno straccio, che ti è successo?»

Per l'ennesima volta nell'arco delle loro vite, Anna dovette mentirgli.

«Ho avuto un piccolo incidente con la Uno» dichiarò. «Mi dispiace. Sono finita contro...contro un palo della luce. Ho sterzato per evitare un cane e l'ho preso in pieno. Il lampione, s'intende. Comunque, io non mi sono fatta niente e la macchina ha perso solo il fanale anteriore destro. Dopotutto, mi è andata di lusso. Non credi?»

Tutto ciò che si nascondeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora