33- La paura di perderti

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Cresciamo convinti che la paura sia un'effimera sensazione.
Un momentaneo timore, più che
preoccupazione.
Poi arriva il giorno,
in cui la prendiamo per mano,
e semplicemente conoscendola,
un po' la comprendiamo.

«Perché sei così cupa?» Chiesi alla paura.
«Perché ho a che fare con voi uomini» rispose lei, «E i vostri cuori sono tanto cupi da non poter essere illuminati dal leggero bagliore della luna.»

Ryan

Che sapore ha la paura? Come fa a distruggerci in pochi attimi, se necessario? Quanto può essere subdola, per incastrarsi nei meandri più remoti della nostra anima, portandoci a pensare esattamente ciò che lei vuole farci provare?

Poche volte nella mia vita avevo conosciuto la paura, e quelle potevano contarsi sulle dita di una mano.

La prima volta accadde quando, all'età di sette anni, ero in giro assieme a mamma e a papà e, allontanandomi da loro per vedere in vetrina un nuovo gioco di Spiderman, non li trovai più dietro alle mie spalle. Credevo di essermi perso, di essere in pericolo, e tutte le paure che un bambino può provare trovandosi solo in un centro commerciale mi assalirono in pieno.

Rimasi lì, ed iniziai a piangere chiedendo al vuoto di poter ritrovare la mia mamma e il mio papà. Dopo poco loro apparvero, e mi dissero che in realtà si erano nascosti apposta dietro l'angolo, per farmi capire che non mi sarei dovuto allontanare da loro. Da allora, ogni qualvolta uscimmo assieme, rimanevo sempre a loro fianco, troppo impaurito per allontanarmi e perdermi un'altra volta.

La seconda volta che provai paura invece fu molti anni dopo, quando d'un tratto, Rose sparì dalla mia vita. Quando provai in ogni a rintracciarla, ma qualsiasi mio tentativo andava a puntare al vuoto. Quando mi inginocchiai davanti alla porta di casa sua, supplicando in ogni modo che conoscevo sua nonna per poter parlare con lei, ma non funzionò nemmeno così. Quando mi resi conto di averla persa provai paura, perché era accaduto così velocemente che non riuscii mai ad abituarmi davvero all'idea di una vita senza di lei.

L'ultima volta in cui provai paura fu allora, quando vidi quell'auto nera prenderla in pieno davanti ai miei occhi per colpa di Katherine.

Quando avvertii il suono dello schianto, delle urla di Rebecka, dei volti in preda allo shock dei nostri amici. Provai paura, quando avvicinandomi di corsa al corpo della ragazza che amavo, non riuscii più a scorgere la vita.

Quella vita che lei tanto amava, ora sembrava essere distante anni luce dall' esile corpo che l'avvolgeva, e ancora una volta provai paura di perderla, perché sembrava tutto così assurdo da non poter essere vero. Non volevo credere si trattasse della realtà.

«Dottore, come sta mia nipote?»
Alzai di colpo lo sguardo, rendendomi conto di essere ancora nel corridoio d'ospedale. Nonostante fossimo lì da più di sei ore, la mia testa mi faceva rimanere ancorato al ricordo di quella mattina, torturandomi lentamente per farmi rendere conto di quanto, ancora una volta, io non fossi riuscito a salvarla.

John si alzò velocemente, per quanto la sua età glielo permettesse, seguito a ruota da Sally che, con un fazzoletto tra le mani e gli occhi gonfi per il pianto, si aggrappò a lui per non crollare.

Mi affiancai a loro, ancora sotto shock, mentre i ragazzi rimasero dietro di noi.
Il dottore, con una cartella tra le mani e sguardo fin troppo coinvolto, si sistemò gli occhiali da vista sul naso prima di iniziare a parlare.

«La ragazza è in gravi condizioni» disse lui guardando i nonni di Rose fisso negli occhi. «L'impatto con l'auto è stato forte, ancor di più l'impatto avuto alla testa. Voglio essere sincero con voi signori Miller, così come lo sono stato anni fa, le sue condizioni sono critiche, ed ora lei è in coma.»

Nel ricordo di noi dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora